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13 assassini

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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La recensione su 13 assassini

di Immorale
8 stelle

L’epica dei samurai affogata nel sangue. Tale è il pensiero e(ste)tico di Miike nella messa in scena di questo film (apparentemente) di kimono e spada; il regista fa suo lo spirito dissacratorio che gli è congeniale, usando la crudeltà “moderna” del perfido personaggio di Naritsugu, vero fulcro del film insieme alla figura “cialtrona” di Kiga Koyata (egocentrismo “malato” contrapposto a “saggio” naturalismo). Modernità antimoralistica, quella di Naritsugu, che deride e sbeffeggia le antiche leggi giapponesi dell’onore e del sacrificio estremo in nome della protezione di un padrone che non merita di essere protetto e che, solamente alla fine, tentennerà dalla sua posizione iconoclasta per poi “distaccarsene” ancora, alfine comprendendo l’incomprensibile. Più convenzionale risulta invece lo sviluppo caratteriale dell’abitante dei boschi, il quale subisce il fascino della pugna e dell’onore, salvo poi tornare, dopo aver contribuito al bagno di sangue, al suo eden agreste e scanzonato.

La lunga introduzione ben serve, in questa ottica, a delineare le differenti idee e caratterizzazioni degli altri protagonisti coinvolti nella congiura e dell’unico difensore del despota. Il percorso selettivo dei “13” risulta più asciutto rispetto all’analoga “scelta” vista nel classico “I Sette Samurai” di Kurosawa (ed in molti altri film del genere); vengono infatti tratteggiati compiutamente solamente i personaggi principali, anime differenti di uno stesso concetto d’onore: la nobiltà “classica” di Shinzaemon (l’ottimo Kôji Yakusho), la perizia mortale e pratica di Hirayama Kujuro (“in qualunque modo, con le mani o con le pietre, uccidi il tuo nemico”), il coraggio titubante di Shimada Shinrokuro e il granitico attaccamento al dovere dell’antagonista Hanbei.

La messa in scena visiva è parimenti notevole; tutto il contorno alla storia, sia ambientale che in interni, si rifà alla “fangosità” delle scelte di vita di tutti i personaggi, fino all’apoteosi scenica del superbo lungo scontro finale. Scontro improntato su un realismo esasperato non (eccessivamente) iperbolico e coreografato ottimamente, con i freddi vaneggiamenti di Naritsugu (che sembrano ispirati ai pensieri di Baricco sulla guerra nella prefazione della sua “Iliade”: “la guerra è un inferno, ma bello”…solo nella finzione e se non ne sei toccato o coinvolto, aggiungerei io) a fare da contraltare ai furibondi combattimenti.

Un film notevole, in conclusione, che non fa che confermare il talento del regista nipponico (anche nella perfetta scelta degli interpreti, “vere” facce da samurai che nulla concedono al “bamboccismo attira spettatori” hollywoodiano).

Sulla trama

Sanguinaria.

Su Takashi Miike

Ottima.

Su Koji Yakusho

Nobile.

Su Tsuyoshi Ihara

Deciso.

Su Yusuke Iseya

Spensierato.

Su Takayuki Yamada

Perfido.

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