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Cirkus Columbia

Regia di Danis Tanovic vedi scheda film

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La recensione su Cirkus Columbia

di fixer
8 stelle

     

 

Tanovic realizza con questo film un’opera matura ed efficace sulla tragedia jugoslava narrandoci una piccola storia fatta di rancori sopiti e improvvisamente esplosi, di soprusi, di prepotenza e di grande umanità.

Se ne ricava alla fine un sentimento di profondo disagio ed amarezza per come un’intera nazione è saltata per aria. Con rara sapienza, Tanovic mescola piccole storie private e grandi scontri etnici ed ideologici. Con poche pennellate, il regista fa capire quel che c’è di dietro questa tragedia nazionale (lo storico dissidio ideologico, etnico e sociale fra croati e serbi) senza addentrarsi in digressioni e lungaggini, ma narrando una piccola storia apparentemente insignificante ma terribilmente eloquente.

Il percorso narrativo di Tanovic parte appunto dai rancori privati, dalle incomprensioni passate relativi a una coppia ormai in rotta come metafora reale degli odi etnici ed ideologici di un intero Paese. Il protagonista, Divko Buntic (Predrag Manojlovic), un energumeno ignorante e prepotente, arricchitosi dopo qualche anno di lavoro in Germania, torna con la giovane amante in Erzegovina, terra da cui è partito. Dopo aver fatto sloggiare dalla sua casa la moglie e il figlio che aveva lasciato senza mezzi quando si era recato in Germania, comincia a preparare la rivolta con alcuni caporioni antigovernativi e li foraggia a dovere, ricevendone in cambio favori e deferenza. Poco a poco, comincia a riflettere e mutare il proprio atteggiamento, davanti alle macerie morali e affettive passate, presenti e future; di pari passo il Paese marcia in direzione opposta. Sono sempre più insostenibili le relazioni fra i militari della locale caserma e le autorità locali. Ad un progressivo riavvicinamento fra i componenti della famiglia di Divko, fanno da contrappunto i venti di guerra sempre più intensi e minacciosi.

La scena finale e cioè il ricongiungimento fra Lucija e Divko, avviene su una giostra, mentre a poche centinaia di metri, cominciano a piovere sul villaggio le prime bombe.

La struttura narrativa presenta quindi una dicotomia di percorsi opposti che suggerisce qual è il tema che fa da sfondo alla storia.

Da un lato cioè si parte da una situazione di rottura famigliare che, grazie al coraggio e alla dedizione di una donna straordinaria (la moglie di Divko, Mira Furlan) e cioè Lucija) e all’indole bonaria del figlio Martin (Boris Ler), poco a poco va ricomponendosi, fino alla riconciliazione finale.

Dall’altro, si parte da un quadro socio-politico sostanzialmente stabile, pur se in fibrillazione, che va velocemente deteriorandosi fino a sfociare in un vero proprio scontro brutale tra etnie ed ideologie che mai si erano veramente integrate.

Se una famiglia, dopo essere andata in pezzi, riesce a ricomporsi, mille altri microcosmi sociali improvvisamente deflagrano con una violenza e un rancore da tempo sopito e che a noi spettatori riescono francamente inauditi. Amicizie giovanili che odi atavici improvvisamente riemersi mandano in frantumi. Frequentazioni amichevoli, parentele miste, contiguità etniche: tutto esplode in un barbarico fragore assordante che riporta indietro di secoli un’umanità che si era costruita una propria via di convivenza pacifica, frutto di mediazione, barriera comune contro nemici esterni, al prezzo di guerre durissime, lutti, dolori, sangue e lacrime.

L’accostamento della piccola storia (la famiglia di Divko) a quella più grande (quella cioè della Regione), vorrebbe essere un segnale di come sia possibile, anche per vere e proprie “bestie” come Divko, riconciliarsi e tornare a vivere e convivere serenamente. La pioggia di bombe che cade sulla cittadina sta a testimoniare quanto si è lontani da ogni possibile accordo. La lenta parabola del riavvicinamento fra Divko e la sua famiglia è descritta magistralmente. La tecnica è quella di raffigurare piccoli quadretti quotidiani, familiari e non, tipici di un piccolo centro di provincia. Questi quadretti diventano il tessuto connettivo che aiuta a capire il progressivo ravvedimento(o riavvicinamento)di Divko. Come se tale tessuto fosse la ragione stessa che sta alla base della convivenza pacifica tra etnie, ideologie diverse.  Divko, quando era in Germania, spediva denaro alla sua fazione per aiutare la divisione e fomentare l’odio. Una volta tornato in patria per portare a termine il suo sporco “lavoro”, si trova davanti una comunità in ebollizione che egli stesso ha contribuito materialmente a far saltare per aria. Pur se sta esplodendo la pentola a pressione, la gente semplice continua a frequentarsi, a frequentare gli stessi locali, lo stesso specchio d’acqua per un tuffo, ad ascoltare le stesse canzoni, a darsi una mano in caso di richiesta d’aiuto. A differenza di questa comunità pacifica, alcuni individui, ammalati di odio e di ignoranza, si riuniscono per dare vita alla rivolta che ha lo scopo di cacciare gli odiati nemici etnici.

Poco a poco, Divko si rende conto di quale bestialità si è reso complice, finanziando i suoi amici e preparando il terreno per lo scoppio delle ostilità. La parabola morale di Divko arriva al culmine quando, per salvare il proprio figlio, resosi responsabile di un atto di “tradimento”, lo porta fuori dal luogo dove è tenuto prigioniero. Poi, consegnando la sua auto all’ex-odiato ufficiale serbo, gli affida il proprio figlio e la sua amante e li fa fuggire all’estero. Si riprende la sua vita, riaccoglie sua moglie e si appresta ad affrontare i suoi “amici” che gli chiederanno la ragione del suo comportamento. Sembra che a Divko non importi molto come andrà a finire, visto che ha riscoperto quello che da tempo andava cercando.

Divko è un vero “duro” che incute timore e rispetto, ma questo forse non è sufficiente per sottrarsi alle conseguenze del suo gesto.

Il mostro che egli ha contribuito a far riemergere dai fantasmi del passato sta ora per aggredirlo.

L’apparente banalità delle situazioni quotidiane è in realtà un sapiente ritratto di un’ordinaria storia di follia, tratteggiato con pennellate di rara bellezza ed inquietante realismo.

 

 

 

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