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Una sconfinata giovinezza

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Una sconfinata giovinezza

di hallorann
6 stelle

Raccontare il dramma dell’Alzheimer non è cosa facile, Pupi Avati con l’aiuto di alcuni consulenti ci ha provato imbastendo una storia verosimile e soprattutto fedele al suo percorso artistico. “Ognuno fa ciò che gli è più congeniale” diceva Fellini e Avati ha introiettato da tempo questo motto. UNA SCONFINATA GIOVINEZZA ricorda la struttura a flashback e salti temporali di DICHIARAZIONI D’AMORE, più qualche elemento tragico della trama. I paesaggi autunno-invernali sui titoli di testa demarcano la cifra stilistica ed emotiva del film. Lino Settembre è un bravo giornalista sportivo, un inviato di prestigio de “Il Messaggero” che scrive di tutti gli sport (i fotomontaggi con alcuni personaggi sportivi però fanno sorridere). Vive una vita serena con la moglie Chicca, docente alla facoltà di Lettere e Filosofia con l’unico cruccio di non aver potuto avere figli. Lino lavora con le parole e ogni tanto le dimentica, nei pezzi per il giornale comincia a divagare, a saltare di palo in frasca rievocando episodi della sua infanzia. A dodici anni perse entrambi i genitori in un incidente stradale e da Bologna si trasferì in campagna dagli zii. Le fasi spensierate del passato si alternano con un presente in cui la malattia progredisce, Chicca combatte al suo fianco, dopo un’aggressione di Lino se ne distacca per riavvicinarsi prima di entrare in coma per un banale incidente sotto casa. Lino che un tempo era pure un opinionista noto in Tv non è mai stato amato dalla famiglia di lei, parte per Sasso Marconi alla ricerca degli amici Leo e Nerio e del cane Perché, mai più rivisti da quando andò via da lì. Si smarrirà per sempre. Ciò che irrita in UNA SCONFINATA GIOVINEZZA è la descrizione della famiglia borghese cattolica di Chicca, i regali di Natale, i concerti del nipote talentuoso al pianoforte e maldestro al volante dell’auto nuova. Rituali spezzati per fortuna dai “fanculo” detti sottovoce da Lino che da quella bella famigliola unita non è mai stato accettato. Idem il festeggiamento posticcio organizzato dal suo giornale reso irriverente e sboccato dai prodromi della sua malattia. L’Alzheimer come regressione all’infanzia. Un po’ patetico l’incontro di Chicca con il marito disfatto e sacrificato dalla moglie segnata dal morbo. La parte nostalgica del racconto è decisamente più suggestiva e poetica e l’ideale collegamento con essa nella parte conclusiva coincide con il momento più riuscito e toccante della pellicola. Il variegato cast (dal ritrovato Lino Capolicchio a Serena Grandi, Vincenzo Crocitti e Isa Barzizza, vecchi e recenti feticci come l’ottimo Gianni Cavina) recita sotto l’incanto del tocco Avatiano. Francesca Neri ormai concede la sua classe solo al regista romagnolo. Fabrizio Bentivoglio invece sta attraversando (a mio avviso) un momento non molto brillante della sua carriera e qui segue l’andamento ondivago e discontinuo dell’opera riscattandosi nel bel finale.

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