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Predators

Regia di Nimród Antal vedi scheda film

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La recensione su Predators

di ROTOTOM
4 stelle

In molti si chiedono come mai l’ultimo film di Dario Argento, ” Giallo” non abbia trovato distribuzione in Italia. Io lo so, perché è orribile.  Cosa lega l’ultima deriva artistica di Argento al nuovo “Predators”? La presenza di Adrien Brody che dopo l’Oscar per “Il Pianista” di Roman Polanski un po’ per scelta un po’ per caso ha pagato dazio, come spesso succede agli impalmati e non ne ha più imbroccata una.  “Giallo”, “Manolete”  e ora questo remake del “Predator” di John McTiernan del 1987, un connubio tra action e fantascienza con notevoli effetti splatter e soprattutto la presenza di Arnold Schwarzenegger più gonfio che mai. 

Gli anni ‘80 al cinema si caratterizzano per l’ esibizione del corpo come oggetto fetish, nel cinema fantastico questa caratteristica viene estremizzata nello smembramento, ibridazione  e rimodellazione del corpo in antitesi alla cultura edonistica dominante che di quel corpo ne faceva un santuario di inviolabile individualità. Il “Predator”  originale è perfettamente in linea con  il suo tempo, presenta facce da genere di invidiabile durezza, inizia come un action e poi stupisce virando in un film su alieni cattivi senza perdere coerenza. Un cult. Poi un seguito urbano, dimenticabile,  e il medley con Alien un po’ come fece la Universal negli anni ‘40 con i suoi mostri quando avendone esaurito ogni spunto originale per fare cassa si inventò di metterli tutti insieme sullo schermo. Dove non arriva la qualità la quantità per lo meno tiene impegnati e la storia del cinema è una ruota che gira.

La produzione di Robert Rodriguez, fan del primo “Predator”, ha in sé gli stilemi della sterilità artistica che affligge il cinema fantastico americano sempre più impegnato a rifare se stesso, male.  Non sfugge a questa miserevole condizione “Predators” diretto dall’ungherese Nimrod Antal che ha in più rispetto all’originale la “s” del plurale e nulla più.  Quindi gli alieni sono tanti e sono cattivi. Cattivi come le vittime designate, un manipolo di tagliagole prelevati nel bel mezzo delle loro nefaste azioni di guerra e paracadutati in una giungla su un pianeta sconosciuto – quindi in questo caso gli alieni sono i terrestri -  per fare da preda ai predator(s) (appunto) che si divertono un mondo a cacciare per perfezionare sempre più la loro tecnica venatoria. E come lo so questo? Perché ce lo dicono.

Il maggiore difetto di queste ri-produzioni dei cult del passato è la necessità inderogabile di fornire una spiegazione degli eventi. Lo spettatore medio teleutente disattento a cui il film è destinato non accetta il fatto in sé, pretende la delucidazione sui come e i perchè, così quello che nel film originale era uno scontro ferino tra due razze per la sopravvivenza, nel remake diventa una pacchianata sulla filosofia sconcia della caccia all’uomo, una tiritera patetica sulla violenza, una catarsi tra mondo terrestre (eravate cacciatori) e mondo alieno (siete prede) rassicurante. Trucchetto di sceneggiatura che permette di stemperare le immagini in una razionalità che le giustifichi e  assolva le azioni dei personaggi.  “Predators” è un film Idiota con la “I”  maiuscola, in cui si parla troppo e male e che richiama in maniera fin troppo evidente le trappolette e le dinamiche dei serial televisivi di moda che hanno riscritto le regole del cinema in un riflusso estetico e sintattico omologato e quindi, di nuovo, riconoscibile e rassicurante. “Lost” su tutti: metti in una giungla personaggi dalle caratteristiche diverse tra loro e guarda che fanno così ecco serviti un messicano del braccio armato dei narcos,  un negro ribelle della Sierra Leone, un giapponese Yakuza, in questi casi il russo della Spetsnaz impegnato a storpiare i ceceni non manca mai, un laido condannato a morte, una clone di Michelle Rodriguez (ne hai di strada da fare, bimba), un medico compostino e pulitino e Adrien Brody.  Sembra una barzelletta ma è così, con il premio Oscar impegnato a riscriversi la carriera come faccia da genere e che invece non riesce mai a rendersi credibile nonostante le narici spasticamente dilatate in un’espressione drammatica e i muscoli oliati (i muscoli? Adrien Brody ha i muscoli?) ed esposti.  Inutile dire che secondo le regole del cinema d’azione americano i primi a morire sono il messicano e il negro. Poi se si possiede una minima esperienza di cinema fantastico la successione delle morti la si può indovinare senza un grosso sforzo di fantasia.  Ad una prima parte decisamente noiosa succede una seconda un po’ più interessante,  claustrofobica e nobilitata dalla breve presenza di Laurence Fishburne ma è un lampo e il resto è nulla, tutto scivola verso il trito e il ritrito, i terrestri cattivi non sono poi così cattivi e ciò che all’inizio era un gruppo di otto singoli si tramuta in un continua, immotivata  e incoerente serie d’atti di eroismo e sacrificio verso il prossimo che nobilita e riabilita le figure degli sgradevoli personaggi. Tutti tranne il messicano e il negro, periti anzitempo. Il colpetto di scena finale è tirato e telefonato fin dall’inizio e il finale aperto presume un seguito, purtroppo.

Così si capisce come anche questo “Predators” sia ideologicamente in linea con il proprio tempo, perfettamente aderente al nulla  che attraversa la lobotomizzata coscienza critica degli spettatori – consumatori sui quali l’industria forgia i propri successi palesando le motivazioni, omologando l’estetica, stordendo con effetti speciali che tuttavia in questo modesto remake non sono neppure così trascendentali, anzi la visione del cosmo è farlocca come poche.  La cosa peggiore di questi film è che non c’è nulla su cui disquisire, sono precotti e preconfezionati, hanno domande e risposte,  passano dal grande schermo alle visioni in prima serata fondendosi naturalmente con gli stacchi pubblicitari dei quali sono portatori sani. Prodotti che contengono prodotti, così tra un predator e un Adrien Brody palestrato ci sta l’adesivo per dentiere e lo yogurt che fa ritrovare la regolarità intestinale. La cosa triste è che non se ne nota la differenza.

 

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