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Uomini di Dio

Regia di Xavier Beauvois vedi scheda film

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La recensione su Uomini di Dio

di sasso67
8 stelle

In una scena nella prima metà del film, durante la refezione natalizia, i frati ascoltano una lettura nella quale si dice che è necessario conoscere la propria debolezza per accettare quella degli altri, vedendola come una richiesta di sostegno, e che è necessario farla propria ad imitazione di Cristo: «questo atteggiamento ci trasforma in vista della missione». Dopo di che, il lettore annuncia un articolo di Carlo Carretto sull'incomprensibilità dei disegni divini, sul silenzio di Dio, sul perché anche la fede stessa sembri spesso così amara. Anche il medesimo Carlo Carretto - un religioso italiano, già presidente dell'Azione Cattolica giovanile, ritiratosi in convento e morto nel 1988 nella comunità monastica di Spello, dopo avere trascorso qualche anno in convento anche nella stessa Algeria nella quale è ambientato il film di Beauvois -, aveva parlato della debolezza nello svolgimento della missione religiosa. Un pensiero di Carretto, che si trova anche su Wikipedia, recita: «Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità». Questo, insieme al concetto espresso durante la lettura nel refettorio del monastero, può servire da chiave di lettura di Uomini di Dio.
Quei frati trappisti, che accanto alla Regola di San Benedetto e ai Fioretti di San Francesco leggono il Corano, sono coraggiosi e paurosi come il resto dell'umanità. Vivono come in un'isola in quella parte del paese insanguinata dal fondamentalismo religioso, facendo del bene alla gente del posto, soprattutto grazie all'anziano frate medico che cura grandi e piccini di tutti i villaggi limitrofi. Ma quei frati costituiscono un duplice e forse triplice problema: sono dei cristiani in una terra fortemente islamizzata, sia dal punto di vista religioso che politico; per le autorità algerine, duramente impegnate dai guerriglieri islamisti, costituiscono un "obiettivo sensibile" da dover proteggere e, per di più, sono loro invisi, in  quanto costituiscono un retaggio del colonialismo francese, considerato l'origine di tutti i mali algerini; sono un problema anche per i governi occidentali (in particolare quello francese), di cui sono cittadini, anche se, come la storia ci insegna, il governo francese non accetterà di trattare con i terroristi per la liberazione dei frati.
Facendosi forza delle proprie e rispettive debolezze, i sette frati rapiti dal convento affrontano il martirio, che non hanno cercato, pur rifiutando la protezione delle autorità algerine, peraltro proposta assai malvolentieri.
Il regista riesce a creare l'atmosfera giusta per questo dramma che è ancora cronaca (si è verificato nel 1996) e che ancora non ha trovato una verità giudiziaria né storica. E per far rendere al meglio degli interpreti, tra i quali spiccano i riconoscibili veterani Michael Lonsdale (che un anno dopo reciterà il vecchio prete nel Villaggio di cartone di Olmi), Jacques Herlin e Lambert Wilson, finalmente protagonista di un film di valore anche artistico.

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