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Hadewijch

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hadewijch

di giuvax
10 stelle

Impossibile non notare la prima immensa violenta differenza tra questo film e i precedenti di Dumont. La carne.
Quella carne che nei quattro film precedenti veniva esibita, esposta, dimenticata, martoriata, esplorata con scientifica minuzia e dunque totalmente svuotata di significato, se non quello di mostrarsi incapace di essere vettore di qualcosa, qui arriva prepotente, da subito, dalla prima scena, per partecipare del dramma d'Amore della protagonista, Hadewijch / Céline, e con lei dell'eterno dilemma della ricerca di un equilibrio tra Corpo e Spirito e di un modo in cui possano fondersi o compenetrarsi senza tradirsi reciprocamente. Non c'era finora un altro film di Dumont in cui ogni scena trasudasse passione come in questo: ed è una passione che nasce dalla necessità di esprimere in un qualche modo fisico un sentimento che di fisico non dovrebbe avere nulla. Ma venire a patti con quel che abbiamo a disposizione, Corpo, Anima e Spirito, è fondamentale e direi obbligatorio, soprattutto per un personaggio come questo. È di questi mezzi che disponiamo, come esseri umani, dunque è nostro compito trovare un modo di usare lo strumento Corpo per trasportare un messaggio dello Spirito.

 

E dunque, Dentro, Fuori, Oltre: una delle prime scene parlanti che vediamo inquadra proprio lei in ginocchio davanti al letto. Due croci: una sul lato sinistro dell'inquadratura, il crocifisso, immobile, (o)scuro, il dentro, a cui lei si rivolge. L'altra sul lato destro, la finestra, illuminata, il fuori, in movimento. Ma in realtà c'è una terza croce, quella che non vediamo ma che sappiamo esistere, quella che lei ha tra le mani e che in ultima analisi è il vero destinatario della sua preghiera, dunque l'oltre. Lei si rivolge all'Oltre, guardando il Dentro e ignorando o volgendo le spalle al Fuori. È il modo di Dumont di definire gli elementi della storia.
Poi però Hadewijch torna a correre verso il suo rifugio, uno strano gioco di fuori e dentro, ossia una statua in marmo del Cristo, conservata in una specie di grotta chiusa da una grata, che rappresenta quell'ostacolo fisico che impedisce alla ragazza di avvicinarsi se possibile ancora di più all'oggetto del suo amore. Oggetto, Amore.

 

Il corpo per lei è dunque un'ossessione, perché non distingue, come sostiene la Madre Superiora, tra sacrificio e martirio. E infatti è con la tendenza al martirio, più che al sacrificio, che la ragazza muove i propri passi, mortificando tutti i bisogni fisici, digiunando e non riparandosi dal freddo; ed è confondendo l'astinenza dalle passioni con la loro distruzione totale che perderà di vista il proprio percorso. La suora lo stabilisce in maniera molto chiara: la ragazza deve tornare alla vita reale, al mondo esterno, non è necessario allontanarsene per dimostrare il suo amore per Dio, ci saranno pure altri modi di dimostrarlo senza vivere in quell'isolamento che lei sta trasformando in martirio. Pericoloso per la sua fede, inoltre.

 

Il tema dunque sembra essere la fede di Hadewijch, ma c'è qualcosa che non torna. Si diceva: Oggetto, Amore. Il nodo centrale non è dunque la fede, quella non sembra essere in dubbio. Il problema sembra essere il desiderio di veder manifestata in una forma concreta la presenza di Dio, e dunque apparentemente il contrario, l'assenza di fede. In un illuminante conversazione con Nassir, il ragazzo musulmano che insegna religione, è proprio lui a cercare di darle una direzione. Dio c'è. La tua fede è sapere che c'è, anche se non lo vedi. L'invisibile, l'ignoto, il nascosto, comunque lo chiami è una presenza che fonda il suo Amore per te sull'apparente assenza. Sta a te non considerarla assenza e dare un significato alla sua invisibilità. Il Cristianesimo si basa sull'incarnazione di un Dio invisibile ma presente in qualcosa di visibile all'uomo, un figlio dalle sembianze umane venuto a trasmettere, spiegare, comunicare un messaggio di amore. Ma una volta sola! Non sempre: il resto deve farlo l'Uomo. Ed è Nassir a ricordare a Hadewijch che il Dio che lei ama e che 'le manca' è sempre là, accanto a lei, pronto a materializzarsi nel momento in cui lei recupera la fede.
Non è l'espressione della fisicità che le manca: non è né un'ingenua, né tanto meno fredda. Non è incapace di rispondere ai messaggi fisici di Yassine (il primo ragazzo che incontra una volta 'fuori', che poi le farà conoscere il Nassir di cui sopra): ma li rifiuta gentilmente, quasi affettuosamente, come farebbe per l'appunto una persona innamorata di un altro, che però non voglia ferire i sentimenti di chi si sta proponendo. Io lo amo. Ma lui non c'è. Non ti sei mai innamorato? Non ti viene voglia di star vicino alla persona che ami, di averla con te? Ma lui non c'è. O non sa dove sia, o come si manifesti.

Hadewijch è il nome che Céline si è scelta per entrare in convento, perché è il nome del villaggio dove è nata: un posto stupendo e solitario dove tra l'altro un giorno porta Nassir, e dove cerca inutilmente una presenza, mentre lui andiamo via, non c'è niente qua per noi. E ha ragione, ma è uno di quei viaggi a vuoto che Céline fa periodicamente, nella vana ricerca di un punto di riferimento.
Certamente, Lui non c'è. Non è lì, non sembra essere altrove.

 

Ed è allora che ho capito a cosa serviva il personaggio dell'operaio / carcerato. Céline ha bisogno dello Spirito, Hadewijch ha bisogno di un Corpo, di vedere incarnato un concetto, il concetto che lei ama. Mi manca, è troppo tempo che non lo vedo, come se correre al suo rifugio e vedere una statua possa saziare almeno temporaneamente la necessità di dare forma a quel concetto. Gaber diceva se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione. Poi, altrove, riprendeva il concetto, immaginando in un colloquio Gesù che gli spiegava: "Le ho sentite, le ho sentite le tue storielle: mangiare un'idea... E io cosa volevo dire con la comunione? L'idea... che ti entra nel corpo.". Ebbene, il corpo di cui lei ha bisogno è l'incarnazione di un concetto.  Il concetto, o meglio il messaggio dell'Amore Incondizionato che le va incontro, e alla fine la salva, non solo dalla situazione contingente (il tentativo di suicidio) ma dalla sua deriva verso un modo sbagliato di mettere in pratica il suo amore per Dio, ossia il sacrificio.
Vederla arrivare nella radura con lo stagno e pensarla impiccata all'albero come una nuovo Giuda è un attimo; ma sarebbe una scelta priva di carne, oltre che di significato. Giuda mi attraversa la testa ma non è il destino di Giuda quello che aspetta Céline, (non può essere certamente Hadewijch nel momento più privo di fede): deve invece essere una rinascita, e l'unica rinascita possibile è dall'acqua.

Si immerge senza darci la possibilità di vedere oltre l'acqua, ci lascia senza fiato in attesa dell'esito.
Ed è un uomo che appartiene al mondo esterno quello in cui si incarna il suo Dio nel momento in cui sceglie di manifestarle (per la seconda volta) la sua presenza spirituale con una presenza fisica.
Solo allora avviene la fusione totale: non i timidi tentativi di approccio di Yassine (unilaterali) né l'abbraccio anch'esso unilaterale che Hadewijch (Céline?) regala a Yassine in mezzo alla strada, e nemmeno gli strani e incomprensibili (per Yassine) gesti di affetto in cucina, che partono da lei e sono vagamente ricambiati da lui. No, non è quella la fisicità che cerca Hadewijch: ma quella in cui prende forma lo Spirito, nell'unico modo in cui lei possa percepirlo e ritrovare, finalmente, la sua fede.

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