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My Son, My Son, What Have Ye Done

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su My Son, My Son, What Have Ye Done

di FilmTv Rivista
8 stelle

Il detective Willem Dafoe viene chiamato nella periferia “bene” di San Diego dove una donna è stata uccisa con una antica sciabola e il figlio Brad si è asserragliato, pare con ostaggi, nella villetta di famiglia. Questo il punto di partenza di My Son, My Son, What Have Ye Done, ispirato a un fatto di cronaca della fine degli anni 70 che già all’epoca interessò Werner Herzog. L’omicidio della madre da parte di una promessa del basket, Mark Yavorsky, anche attore dilettante che infatti per il delitto si ispirò all’Oreste di Eschilo. Coltivato dal regista tedesco per anni, il progetto di un film su quel tragico episodio ha preso forma grazie a un produttore a sua volta eccentrico: David Lynch. E qui viene il bello: a parte Lynch che appare a un certo punto sul luogo del delitto come in Fuoco cammina con me, My Son, My Son, What Have Ye Done, in quanto opera di super nicchia, divertirà i cinefili scatenati a stabilire cosa sia lynchiano e cosa herzoghiano. La madre, Grace Zabriskie, sicuramente lynchiana, la figura estrema di Brad, invece, herzoghian/kinskiana... e così via. Il gioco è interessante fino a un certo punto, ma è pur vero che il film, scandagliando la psiche contorta di un uomo e le sue ossessioni, si propone soprattutto come oggetto naïf, a tratti molto divertente, a volte invece un po’ superficiale e al risparmio, come dimostrano le riprese in digitale e il vago sentore di «buona la prima» che si percepisce in qualche scena. Eccellenti, però, le facce, a partire dal protagonista Michael Shannon (nomination all’Oscar per Revolutionary Road) che già apprezzammo nell’ottimo Bug di William Friedkin in un ruolo altrettanto schizzato. Memorabile la sua definizione dei fenicotteri, gli animali simbolo della tragedia, in realtà «aquile drag queen». E al solito inquietante è la presenza di Brad Dourif, direttamente dall’igno­to spazio profondo.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 30 del 2010

Autore: Mauro Gervasini

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