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I'm a Cyborg, But That's Ok

Regia di Chan-wook Park vedi scheda film

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La recensione su I'm a Cyborg, But That's Ok

di EightAndHalf
8 stelle

Sono un cyborg ma va bene così. Assecondare la pazzia fino al profondo, accettare il sovvertimento dei luoghi comuni e delle certezze, accettare una diversità di vedute. Park realizza un novello “Elogio della follia” per raccontare come la realtà sia malleabile e cangiante, osservabile in maniera sempre diversa, ma per questo sottoposta a nuove logiche, a nuove regole che noi siamo in grado di cambiare. L’uomo folle è l’uomo più potente, poiché la ragione ci limita, limita le potenzialità del nostro vivere felice. Ma non è semplicemente una fuga dalla realtà (benché la realtà della protagonista sia realmente opprimente), è una celebrazione del delirio, un sogno di distruzione (di massa) che rende il mondo caotico e anche più bello. Non per questo, però, più speranzoso.
Siamo lontani miglia dalla felicità, in questa bizzarra pellicola in cui Park cambia registro rispetto ad altre opere precedenti, mantenendo sempre uno stile originale e spiazzante, di fronte al quale lo spettatore (specialmente quello occidentale) non sa bene a cosa appigliarsi, a meno che non si lasci trasportare da immagini pirotecniche e, in questo caso, effetti speciali divertenti e indimenticabili. La protagonista non riesce a trovare il senso della sua esistenza neanche nella sua realtà cybernetica, secondo la quale al posto dei suoi organi si ritroverebbe un corpo meccanico, fatto di rotelle e di batterie ricaricabili, con tanto di tacche nelle dita dei piedi. Mentre Park ci accompagna nei meandri della follia di Young-goon, che entra in contatto con moltissime altre follie nell’ambiente del manicomio, oltre a vivere un divertimento realmente intellettuale ma al limite del demenziale (tra dialoghi nonsense e esplosioni esilaranti di “intelligente” fantasia) scopriamo lentamente la possibilità del sentimento e dell’affetto, una simpatia nei confronti dell’umile delirio di Young-goon come avviene da parte del protagonista maschile, capace a sua volta di trasferire le qualità degli altri in sé stesso e viceversa. Non è un film gratuitamente ostico, accompagna con una fluidità a tratti commovente fino a un twist finale che colpisce per la sua originalità. 
Trattando come materia da commedia ibridi organici/inorganici cronenberghiani, con conseguenze che adorerebbe il Rodriguez di “Planet Terror”, Park ci racconta come, alla fin fine, siamo abbastanza potenti da trovare noi stessi la ragione della nostra esistenza, nella nostra libertà sia dalle regole collettive sia da quelle che crediamo di possedere (le bizzarre regole di Young-goon raccolte in un libro). Se poi ne escono allegramente demolite certezze come la religione, la famiglia, la sicurezza della nostra morte, poco importa. Portemmo davvero essere liberi, forse liberarci anche dalla necessità di un senso, forse fregarcene definitivamente di questo sopravvalutato senso della vita.
 

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