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L'uomo che fissa le capre

Regia di Grant Heslov vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che fissa le capre

di mc 5
8 stelle

Siamo reduci dalla visione del capolavoro firmato da Michael Mann e ci accingiamo a valutare quale sarà l'impatto del prossimo Almodovar, entrambe le opere probabilmente accomunate da un medesimo destino: quello di spaccare in due sia il pubblico sia la critica. E il film di cui andiamo a parlare, seppur destinato a suscitare molto meno clamore, nel suo piccolo ha già anch'esso operato una netta divisione nei giudizi. Chi -come il sottoscritto- lo ha accolto come si conviene ad un sorprendente e bizzarro piccolo gioiello pacifista ed antimilitarista, e invece chi -da opposto versante- lo ha recepito come una specie di strano oggetto dotato di meno verve di quanto il film stesso vorrebbe far supporre. Personalmente ho benedetto quest'opera per avermi fatto ricordare le migliori parodie demenziali sull'esercito, capolavori come "Mash" o "Comma 22". Ciò che piacevolmente spiazza è proprio il punto di partenza, già efficacemente annunciato da una frase che accompagna l'incipit della pellicola, cioè che "il film racconta una storia molto più vera di quanto si possa pensare", frase seguita dall'immagine di un ufficiale dell'esercito americano che, presa la rincorsa, si lancia con forza contro il muro dell'ufficio che lo ospita, cadendo rovinosamente a terra. Sembra ragionevolmente incredibile, eppure, tra gli anni '50 e i '60, gli USA pare (e sottolineo "pare", dato che si stenta davvero a crederci) abbiano finanziato un progetto top secret per addestrare un corpo miliare scelto destinato alla cosiddetta "guerra psichica". Lo so che sembra materiale da cabaret demenziale, ma sembra che sul serio abbiano selezionato militari dotati di poteri speciali ( veggenti, sensitivi, insomma quella roba lì che di solito viene associata al termine "ciarlatani") per utilizzarli in operazioni che implicavano la lotta al nemico condotta esclusivamente attraverso la forza del pensiero e il potere della mente. E in questo contesto, assistiamo ad uno sfilare di personaggi uno più incredibile dell'altro, ma ciascuno teso a parodiare e ridicolarizzare i luoghi comuni dell'universo militarista, dal machismo alla gerarchia dei gradi, dalla rigidità della disciplina alla durezza degli addestramenti. Il tutto parte dal caso di un giornalista depresso, e reso infelice da un problemino "di corna", che decide di reagire diventando un reporter di guerra con l'evidente obiettivo di dimostrare alla (ex) moglie che non gli mancano gli attributi. La prima conoscenza, quella che lo convince a questa scelta, è con uno svitato che fa strane affermazioni sul mostro di Lochness e che immobilizza (ih ih...) criceti con lo sguardo. Costui introdurrà il nostro "cronista triste" (che si chiama Bob) nel cuore della vicenda, portandolo a conoscere Lyn, un tizio davvero speciale che svelerà a Bob un mondo altrettanto speciale, quello dei "Guerrieri Jedi" che compongono il "Nuovo Esercito Della Terra", un corpo esclusivo che avrebbe dovuto, secondo i piani militari, combattere il nemico sovietico, anche se poi in realtà si allenavano a dissolvere nuvole o ad eliminare povere inconsapevoli caprette. Io però a questo punto, pur avendo in mente di parlare del cast qualche riga più avanti, devo aprire, qui ed ora, un capitolo "attoriale" importante, proprio in quanto rappresenta, per quanto mi riguarda, l'elemento più clamoroso che mi ha fatto amare questo film, elemento che porta il nome e cognome di Jeff Bridges. Ecco, ora sto per scatenarmi in una sorta di processo di beatificazione che temo sfiorerà il demenziale. Accantonando ogni possibile sospetto di omosessualità latente e stante la conclamata eterosessualità dello scrivente, dichiaro senza imbarazzi il mio amore per Jeff Bridges; io ADORO la sua faccia da paraculo, quel suo viso indolente da "guru in disarmo", quella sua impagabile maschera tra il santone e il "frescone" in vacanza. Secondo me Jeff è una delle più belle facce in assoluto che Hollywood abbia mai espresso. Voglio essere chiaro: Bridges come attore non è un gigante, ha alle spalle una lunghissima carriera fatta di alti e bassi, ha sbattuto la testa anche contro qualche film mediocre, ma comunque sempre mantendo intatto il suo formidabile, clamoroso e definitivo CARISMA. Ecco, lo invidio da matti il vecchio Jeff, vorrei tanto avere la sua faccia di bronzo e il suo carisma che si manifesta ogni volta che apre bocca. E adesso che è ormai anziano, che ha messo su qualche chilo come impietosamente il film ci mostra, può contare su un fascino ancora maggiore, come avesse fatto un patto col demonio. Diavolo d'un Jeff, sei un mito! Bridges oltretutto è qui servito da una sceneggiatura che gli porge il suo personaggio su un piatto d'argento. Egli è Bill Django, un militare americano che, durante una azione estrema di guerra (sul fronte caldo del Vietnam), riceve dal destino un "segnale" importante sull'indirizzo che prenderà la sua vita futura: comandare un esercito scelto composto di soldati che, ribaltando tutto un repertorio di rigore e disciplina, diano spazio primario alle doti umane e sentimentali, andandole a ripescare dal proprio inconscio attraverso una serie di addestramenti mirati. A questo proposito, credetemi, vedere Bridges che ringhia urlando improperi ai suoi soldati (in stile sergente "fullmetaljacket") per poi subito dopo ghignare dicendo che ha scherzato, beh, è esilarante. Ma, soprattutto, vedere lo stesso Jeff che addestra i suoi uomini ordinando loro di ballare sul ritmo di "Dancing with myself" di Billy Idol, è stato qualcosa di irresistibile che mi ha caricato di un buonumore il cui effetto si è smaltito solo dopo parecchie ore. Ma come potete pensare che in questa storia non faccia capolino un cattivo? Certo che c'è, ed ha il volto infido e subdolo di un Kevin Spacey davvero in gran forma, alle prese con un personaggio che da reazionario odioso si trasforma fino a farsi possedere da una potente vena non-sense. Il giornalista depresso, Bob, che è poi il personaggio centrale di tutta la vicenda, è un sorprendente Ewan Mc Gregor, attore versatilissimo che ho sempre apprezzato (col suo "picco" in "Big Fish" di Burton...) e che qui recita in stato di grazia. Pur non essendo questo film certo un punto d'arrivo nella sua carriera, gli dà comunque modo di offrire una performance molto intensa e sentita. E veniamo al fattore-Clooney, fattore importante perchè se il film, pur circondato da un'aura da prodotto "indipendente", sta scalando il box office, al 90% il merito è della sua presenza in funzione di "acchiappa-spettatori-da-multisala". Il buon George è professionale e talentoso come al solito, anche se qualcuno ha fatto notare (obiezione che in buona parte condivido) che Clooney qui pare supplire con eccesso di gigionismo istrionico a qualche carenza nella definizione del suo personaggio in sede di sceneggiatura. E ciò ci porta ad affermare che, in questa magica formazione "McGregor-Bridges-Clooney-Spacey", il vecchio George è forse l'anello debole della catena. Ma non vorrei commettere l'errore di dimenticare uno dei miei attori preferiti, forse il miglior caratterista attuale di Hollywood, quello Stephen Lang già visto in questi giorni in "Nemico Pubblico" di Mann e di cui sono accanito fan da tempi lontani. Fra l'altro ho appreso di recente che l'ottimo Lang è attualmente co-direttore artistico del glorioso Actor's Studio. Come dite? sembra una storia grottesca che fa pensare a certe folli commedie dei fratelli Coen? beh, in effetti, devo ammettere che (complici anche le presenze di Clooney e Bridges) il loro "odore" ogni tanto si fa percepire. Sentirete più d'un critico sentenziare che si tratta di una minchiatina. Sarà. Ma io mi sono divertito parecchio. In fondo è satira militare in sano stile anni '70. E funziona! E poi, si sa, io adoro Jeff Bridges, il mio sciamano hippie di riferimento. Peace & Love a tutti. PS: se vi capita di andare sull'official website di Jeff Bridges, e se clikkate sulla sezione "Guestbook", ci trovate un mio breve post-saluto scritto in un inglese talmente pietoso che se Jeff dovesse mai leggerlo si verificherebbe il corto circuito: sarei io a far ridere lui.
Voto: 9

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