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Un alibi perfetto

Regia di Peter Hyams vedi scheda film

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La recensione su Un alibi perfetto

di mc 5
4 stelle

Dopo la visione di questo modesto thriller confezionato con qualche dignità, c'è una domanda che si fa largo con prepotenza nella mia mente: ma che senso ha intasare le già sature multisale con un prodotto come questo, forse sufficiente ma talmente di modesta portata che appare subito chiara la sua naturale collocazione nel mercato dei supporti DVD? Perchè allora non farlo uscire direttamente su DVD? Domanda tanto più necessaria e sensata se consideriamo quanto fatìchino le nostre sale a reggere certi weekend con uscite "fluviali" di decine di titoli, alcuni dei quali, oltretutto, a volte escono soltanto in un paio di sale in tutta Italia (e se uno non ha la fortuna di vivere a Torino-Roma-Milano...s'attacca). Scusandomi per la volgarità, insisto: perchè, a confondere ulteriormente le acque già incasinate della distribuzione, arrivano anche "prodotti-cazzatina" come questo, peraltro alimentato da un trailer che vorrebbe vendercelo come un thrillerone-blockbuster (niente di più falso: è un filmino-ino-ino)?. Mah. Certi meccanismi di questo mercato impazzito ho rinunciato a comprenderli. Ciò detto, il "thrillerino" in oggetto è senza infamia e senza lode, pur ribadendo il concetto che la portata e l'incisività dell'opera si fermano a un livello piuttosto modesto. Il livello -appunto- di un "giallo" da prima serata su RaiDue il sabato sera, di quella roba, insomma, un pò anonima, destinata a coloro che il sabato sera lo trascorrono davanti alla tv con la famiglia. Dunque, per inciso, un prodottino preconfezionato per un pubblico di bocca buona e senza pretese. Per me che sono un appassionato del genere (thriller) e abbastanza sgamato sulla materia, un film simile non va oltre la sufficienza risicata. Troppo ordinario nella sceneggiatura, troppo "squadrati per benino" i caratteri dei personaggi, e poi troppo scontato il meccanismo del colpo di scena finale che vorrebbe sorprendere lo spettatore e invece fa la stessa impressione di quando si fa "bum" facendo scoppiare con le mani un sacchetto di carta dopo averlo riempito d'aria. Eppure c'era chi nutriva qualche aspettativa superiore e vediamo il perchè. Prima di tutto perchè la pellicola è di fatto il remake di un vecchio film diretto nel lontano 1956 da un glorioso Maestro del cinema come Fritz Lang. E poi il nome del regista (che la mia memoria, lo confesso, aveva rimosso) è quello di un artigiano con alle spalle una filmografia numerosa che spazia dall'action all'horror passando per la fantascienza: si tratta del veterano 67enne Peter Hyams, che ha lavorato con star del calibro di Sean Connery, Van Damme e Schwarzenegger. Ho scoperto che Hyams gode di un certo credito tra i critici di cinema, i quali vedono in lui i requisiti del solido artigiano di Hollywood. Non lo metto in dubbio, però lasciatemi dire che tali requisiti nel film di cui stiamo parlando sono presenti (se ci sono) in maniera un pò approssimativa. Ebbene, io ho un altro concetto di "cineasta artigiano", legato ad una idea di cinema classico, e quando mi trovo ad usare queste parole puntualmente mi viene alla mente il nome di uno dei Maestri più anziani (ma ancora tra i più bravi!) della vecchia Hollywood, l'immenso Sidney Lumet. Ecco, il buon vecchio Sidney, è uno ancora capace di mettere in scena un buon thriller (magari un legal thriller o un bel suspenser), attenendosi a criteri classici, ma con una dote che Hyams di sicuro non possiede: quella di CONOSCERE la testa della gente e dunque di raccontarne quei caratteri psicologici che ne generano i sentimenti e ne muovono le azioni. E siccome Hyams (anche co-sceneggiatore) confeziona le cose facendo ricorso a caratteri ispirati a dei clichès, senza quello "scavo" psicologico che sarebbe necessario, il risultato è questo film qua: si fa guardare ma non suscita emozioni. In altri termini, Hyams è regista prevalentemente d'azione, scrive a tavolino  mosse e contromosse dei suoi personaggi, ma questi restano delle figurine, simpatiche o antipatiche a seconda dei punti di vista, ma comunque inerti. Esattamente come i protagonisti di molti telefilm "gialli". A parte il fatto che la vicenda narrata sottintende un meccanismo piuttosto contorto e -almeno per quanto mi riguarda- ben poco credibile. Per carità, il dipanarsi degli eventi sviluppa una certa suggestione, ma pretende da parte dello spettatore un "bonus" di credibilità che a me pare eccessivo. Vediamo. New York; il procuratore distrettuale Mark Hunter è uomo brillantissimo, un vincente, e destinato alla prossima carica di Governatore. Ma un giovane giornalista sospetta che la carriera inarrestabile di Hunter sia in realtà basata sulla sua consolidata (e abilissima) abitudine a costruire prove falsificate che gli permettono di uscire trionfante da ogni processo. Quel giornalista, un simpatico giovanotto che lavora da cronista precario presso una tv locale, architetta allora un piano che -e qui sta il punto- io ritengo del tutto forzato e inverosimile. Deciso ad inchiodare il procuratore alle sue responsabilità e a stroncargli la carriera, il giovanotto si mette a fabbricare una meticolosa serie di indizi contro sè stesso in modo da farsi arrestare e processare per l'omicidio di una prostituta nera: con l'obiettivo (macchinosetto, non credete anche voi?!) che, durante il processo in una di quelle aule giudiziarie americane che ci sono tanto famigliari, il ragazzo calerà un asso dalla manica (non diciamo quale) che sputtanerà in diretta una volta per tutte quel pallone gonfiato del procuratore distrettuale. Che una persona possa nella realtà predisporre un simile arzigògolo a me fa un pò ridere, ma non è finita. Il bello arriva a 5 minuti dalla fine, quando tutto sembra concluso secondo i piani dell'intraprendente giovane cronista, e invece arriva un colpo di scena che ribalta tutto quanto. E diciamolo, allora: questo snodo imprevisto è da un punto di vista narrativo e di sceneggiatura alquanto balordo e poi, come "twist ending", è messo in scena proprio male, sbrigativo e frettoloso, decisamente uno scivolone che lascia incredulo e perplesso lo spettatore. In sintesi: gli elementi del giallo ci sono tutti: un delitto, un colpevole, un carcere, un'aula di tribunale, un cattivo, dei sospetti...solo che Hyams questi elementi se li gioca piuttosto maluccio. I due giovani protagonisti: lui, Jesse Metcalfe, attore caruccio e simpatico, ma niente di più che l'ennesima facciotta da telefilm; lei, (l'assistente del procuratore che flirta col giovanotto) è Amber Tamblyn (il cognome è illustre, trattandosi della figlia di una vecchia gloria di Hollywood, Russ Tamblyn) attrice discreta ma che non impressiona, dotata di una bellezza un pò cheap, da cassiera di supermercato (senza offesa per la categoria, che adoro!!). E per ultimo, il divo di Hollywood, lui, Michael Douglas, il quale mi fa una pena notevole nel vederlo imbolsito a dismisura, ma soprattutto -con ogni evidenza- NON MOTIVATO, privo di qualsiasi slancio che lo renda partecipe a ciò che sta rappresentando: mi spiace dirlo, ma temo che ormai sia irreversibilmente bollito. Concludendo. Se uno si accontenta di un thrillerino di stampo televisivo, si accomodi pure, facendo attenzione a non rovesciare i popcorn. Ma con tutto il buon cinema presente nelle sale, si può senz'altro passare la mano.
Voto: 5

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