Espandi menu
cerca
Polytechnique

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

Recensioni

L'autore

alan smithee

alan smithee

Iscritto dal 6 maggio 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 315
  • Post 214
  • Recensioni 6410
  • Playlist 21
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Polytechnique

di alan smithee
8 stelle

Da un angosciante episodio di cronaca del 1989, una strage efferata in cui 14 studentesse persero la vita per mano di un folle coetaneo, tutto proteso a mettere in atto il suo invasato progetto di eliminare quello che a suo avviso viene considerata una forma imperversante ed opprimente di femminismo ai danni della figura maschile, il gran regista canadese Denis Villeneuve - ormai notissimo con il suo recente trittico cult e potente Prisonners-Enemy-Sicario - trae il suo quarto lungometraggio, quello che precede la notorietà definitiva ottenuta con La donna che canta del 2010.

Una tragedia, quella di polytecnique, ispirata dalla follia, che genera trasformando un ragazzo disturbato, incattivito, solitario ed isolato, in un vero e proprio mostro dalla violenza incontenibile, armato sino ai denti e pertanto in grado di creare l’orrore tutto intorno a sé.

Dopo averci presentato il folle protagonista mentre pianifica gli ultimi dettagli del suo delirio di sangue, Villeneuve segue le tracce di un paio di studenti che ignari com’è naturale dell’inferno che seguirà, sono impegnati ad organizzare alcune fasi cruciali delle rispettive carriere; un uomo ed una donna che si impegnano per trovare un posto nella società che li ha tirati su, ma che si trovano travolti in mezzo ad un epicentro di violenza che sembra un vero e proprio teatro di guerra.

Una ragazza bruna dal curriculum brillante, in particolare, in seguito ad un colloquio che le ha permesso, anche grazie ai bei voti ottenuti nel suo corso di ingegneria, di guadagnarsi un lavoro temporaneo come stagista per un percorso di ricerca, rimane delusa dall’atteggiamento del professore che l’ha valutata, e che, freddamente e con rozzezza, non le nasconde le proprie perplessità inerenti il ruolo generale della donna nella società, difficilmente coniugabile, in quanto futura madre di famiglia, con l’impegno inderogabile scaturente da una laurea ed una specializzazione del tipo prescelto ed affrontato con i migliori esiti.

Ma tutto ciò che pare un problema invalicabile, ed un dolore personale fastidioso e inconcepibile, diviene solo un superfluo cruccio esistenziale, in rapporto alla lotta per la sopravvivenza che si renderà necessaria quando il piano omicida dell’attentatore entrerà nel vivo dell’azione.

In un scintillante e freddo bianco e nero, freddo come la morte e lucido come la mente diabolica di un assassino, la telecamera mobile, volubile ma lucida e lineare di Villeneuve inizia a seguire i dettagli di una strage senza senso: il killer fa irruzione in una prima aula, completamente indisturbato, quindi procede con fredda, premeditata lucidità, a dividere il locale affollato tra uomini e donne: poi fa uscire i primi, ed inizia a far fuoco sulle seconde: una strage, che si esplicita nel sangue, nelle fughe disperate di corpi straziati, nelle scie scure che il trascinamento dei corpi agonizzanti e sanguinanti hanno prodotto sul pavimento, lungo i corridoi, in una corsa frenetica ed istintiva alla ricerca della salvezza. Il sangue scuro prodotto dal bianco e nero è terrificante, e più ancora del color porpora che lo caratterizza rende l’idea della morte che invade i locali dell’università.

Il ragazzo protagonista, scampato al fuoco, aiuta qualche ragazza più o meno seriamente ferita: tutta la struttura è nelle mani del folle, i corridoi sono percorsi con l’ansia della fuga, ma seguendo traiettorie definite che non hanno nulla, proprio nulla dell’abusata tecnica del mockumentary; la lucidità della rappresentazione è esemplare e il coinvolgimento dello spettatore, che viene introdotto a forza e con un’energia magnetica nel labirinto visivo del regista, partecipando in prima persona ad un percorso di fuga in ambienti chiusi e soffocanti che paiono i corridoi claustrofobici di un’astronave aliena, è significativo, potente, visivamente destabilizzante ed affascinante nel contempo.

Un pugno allo stomaco che rimanda all’esemplare Elephant di Van Sant più per la sconcertante tematica che per lo svolgimento o lo stile, che qui appare più freddamente calcolato per esaltare la follia di una premeditazione che nasce da uno squilibrio, concentrandosi sugli effetti devastanti che un singolo atto di follia può significare per una comunità intera.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati