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Il nastro bianco

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Il nastro bianco

di OGM
10 stelle

Il Male possiede tutti, ma non è di nessuno, poiché appartiene unicamente a se stesso. Per questo motivo è arbitraria la nozione di colpevole, visto che Egli tesse da solo le proprie trame, secondo una logica a noi inaccessibile: semina tanti focolai per conquistare un villaggio di campagna, ma gli basta una scintilla per scatenare la guerra nel mondo. Opera nel buio, perché è brutto e quindi si nasconde: non mostra il suo volto, come un cadavere coperto da un pietoso velo o il dolore di un vedovo che rimane invisibile, al lato della scena. I delitti si consumano dietro gli angoli, dietro le porte chiuse, che si tratti delle frustate inflitte ad un bambino, di un incesto o di un suicidio. Possiamo  tentare di mantenere questi eventi lontano dalle nostre case, dal nostro corpo e dalle nostre anime, ma non c'è corda o catenaccio che possa prevenire ciò che nasce dal profondo della nostra coscienza di uomini. Più che figli del peccato, non siamo infatti figli del castigo: seminiamo morte e distruzione per punire noi stessi e gli altri. Noi odiamo per i torti subiti, e perciò ci vendichiamo; e soffriamo per i nostri rimorsi ed i nostri errori, e perciò ci mortifichiamo. I crimini dell'invidia e della gelosia sono, in fondo, le reazioni viscerali a ciò che noi avvertiamo come un'ingiustizia ai nostri danni.  La cacciata dall'Eden ha impresso nell'uomo il disprezzo per la propria stessa carne; e, soprattutto, gli ha insegnato a giudicare e a condannare. La verità su ciò che siamo diventati risiede nel ricordo, nella memoria della sciagura cosmologica con cui ha avuto origine il mondo finito ed imperfetto: un incidente dalle cause ignote, che si propaga eternamente, con i suoi tragici perché senza risposta. Ogni giallo, ogni ricerca di un assassino è parte di questo enigma primordiale, che riesce ad educarci, ad imporci una disciplina, a suggerirci una fede solo in virtù della sua irrimediabile insolubilità. Il suo essere è indefinitamente aperto sull'ignoto, in cui si estende illimitatamente, senza lasciare spazio al suo contrario. L'innocenza non è il bene perduto, dimenticato in paradiso, ma il bene inesistente: è, come un nastro di seta bianca, il brandello di un miraggio astrale,  il residuo di un'antica velleità della specie umana, lo stemma impolverato della sua pretesa nobiltà, della sua illusione di poter partecipare all'essenza immateriale di cui è plasmato Dio. 
Ne Il nastro bianco Michael Haneke riprende lo stile del grande romanzo tedesco alla Thomas Mann, di cui ripropone la lingua ricca e solenne, finemente ricamata di preziose sfumature lessicali, che la fanno aderire alle cose e alle persone come un guanto di merletto.  L'articolato flusso delle parole segue, come un vivace rivolo poetico, le frastagliature psicologiche e morali della storia di una piccola comunità, lasciando che la sostanza dei pensieri dell'io narrante si insinui in tutti gli incavi del dubbio, in tutti i cunicoli del mistero, in tutte le pieghe dell'ambiguità.

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