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Il mio amico Eric

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su Il mio amico Eric

di leporello
8 stelle

Anche questa volta Ken Loach non abbandona e non tradisce la sua amata “working-class”, e  ne dipinge con la consueta lucida, realistica grazia, difetti e soprattutto pregi, ricorrendo alla sua già conosciuta, asciutta ironia. Si avvale del mondo del pallone (“Ma giocate al calcio, deficienti!”, gridava dal palcoscenico tanti anni fa Giorgio Gaber in “Libertà Obbligatoria” in un pezzo recitato intitolato “Il tennis”) e non certo per distrarsi dal sociale, anzi, per entrarvi mani e piedi, laddove il calcio rappresenta (rapresentava?) un luogo fisico e mentale cardine, praticamente simbolico, per la working class.

Eric (l’ottimo Steve Evets, che gli addetti ai lavori ci informano essere anch’egli “attore per caso” e che si è meritato la palma d’oro a Cannes come miglior attore), un postino di mezza età alle prese con  le difficoltà di un passato da riparare e di un presente da dover riordinare, vede materializzarsi in carne ed ossa, nella sua fumosa stanza da letto usata come riparo, porto tra le tempeste della vita di fuori, il suo mito calcistico Eric Cantona, che, rivolgendosi a lui con  abbondanti aforismi (talvolta crudelmente serviti in lingua francese, e dunque incomprensibili), lo risolleverà dalla sua depressione aiutandolo a fare chiarezza dentro e intorno a sè. Ricucendo prima i rapporti con la ex moglie, da lui abbandonata (pur amandola ancora) per una “semplice” crisi di panico e risolvendo poi con una metaforica, spassosissima carnevalata di massa i guai dei suoi due figliastri, vessati da un piccolo e violento delinquentello di provincia, i due Eric marceranno insieme verso un meritato riscatto, di nuovo alle soglie di quel paradiso ove da sempre Ken Loach, con ostinazione encomiabile, vorrebbe portare la sua amata classe operaia.

Il film è brillante, di quella brillantezza mai ridanciana che contraddistingue l’opera di Loach, perfetta miscela di grottesco e realistico, condita dei migliori sentimenti come la solidarietà e l’amicizia (il miglior gesto atletico che Eric Cantona attribuisce a se stesso, lui centravanti,  non è stato un goal, ma un assist) dove, se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, un momento “infelice” può trovarsi nella scena dell’improvvisa irruzione in casa della polizia, caricata a mio avviso di eccessiva drammaticità tanto da far pensare ad una “svolta” nel clima del film, che invece riprende poi presto i suoi binari originari.

Molto delicate e commoventi (la commozione asciutta e senza lacrime dei film di Loach) le rarefatte scene dei ricordi di Eric-postino, i balli con le sue Blue Suede Shoes insieme alla sua amata, bellissima Lily Divine (peccato non riuscire a trovare troppe notizie dell’attrice, Laura Ainsworth, che la interpreta da giovane….). Sorprendente anche l’altro “attore per caso” Eric Cantona, perfettamente a suo agio nel suo nuovo mestiere (è anche co-produttore del film).

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