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Antichrist

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Antichrist

di ROTOTOM
8 stelle

Storia: un bambino muore cadendo dalla finestra mentre i genitori fanno all’amore. Amore e morte si fondono nella mente dei genitori, la madre soprattutto, che cade in uno stato di prostrazione dal quale non riesce a uscire. Il marito psicoterapeuta prova ad aiutarla ad elaborare il lutto riconducendola nei luoghi che per lei hanno un significato sinistro per farla regredire alla paura primordiale. Il bosco, e il capanno nel quale avevo passato tutti e tre l’ultima estate.

 

Amore e Morte. Attrazione e Repulsione. Ragione e Natura. Il Re è nudo, scoperto e glabro, glauco e indifeso. Il Re è Lars Von Trier e con Antichrist si è strappato di dosso i trucchi, le protesi, le maschere e i mantelli che hanno magnificamente mistificato i suoi film precedenti. Non c’è più nessun Dogma stilistico da perseguire, se mai è stato fatto. La disperata mimesi de Gli Idioti si è sciolta. La commedia della de-responsabilizzazione Automatronica de Il Grande Capo, dimenticata. Attraverso le righe di gesso disegnate su un palco ora si vede, eccome, la mostruosità del villaggio di Dogville. Il sogno di Selma in Dancer in The Dark ora è assolutamente visibile e possibile. Lontano dagli esperimenti stilistici bizzarri, dal verismo autoriale dietro il quale il regista si nascondeva ridacchiando, Antichrist è finzione allo stato puro, senza filtri, operazione creativa della quale l’Autore è totalmente responsabile, senza se e senza ma. E il prologo, sulle note di Haendel, è la dichiarazione di intenti più pura. Estetica dell’estasi, bianco e nero virato, inquadrature sempre in tagli d’impatto emotivo scanditi da un montaggio alternato sincronizzato  tra amore e prossima morte. Bellissimo cinema barocco, tronfio e pieno, trionfo dello sguardo su tutto. Penetrazione a vista compresa. Il Re è nudo dicevamo, e nulla si nega.

Ricchissima di simbolismi e cupa la parte centrale, in cui l’elaborazione del dolore e la rimozione del senso di colpa acquistano gli stilemi dell’horror psicologico. La seduta di psicanalisi con la quale Willem Dafoe cerca di curare la moglie Charlotte Gainsbourg, tormentata dal rimorso è anch’essa a carte scoperte. Se la penetrazione ha coinciso con la morte, l’entrare nella mente della donna ha una valenza sessuale molto forte e al contempo profondamente sbagliata. Dentro, la moglie, cova. Come aveva covato il figlio, ella ora è gravida di morte. Jump cut che interrompono il fluire del pensiero, una manciata  di controcampi volutamente sbagliati danno il senso dell’errare nelle paure della donna che identifica il bosco e il capanno nel quale avevano passato l’ultima estate, come l’origine della propria paura. Natura, distruttiva e creatrice insieme, selvaggia e umorale come la terra che genera gli alberi nel quale la psiche della donna si nasconde, il bosco è la manifestazione fisica della sua psiche, dominata da un senso di colpa che ella identifica come Satana, l’origine del male, che domina sui destini delle creature.

 L’Uomo è al contrario la Cultura, la razionalità che da sempre ha cercato di dominare sulla Natura riducendola a un’intelleggibilità innocua e strumentalizzabile. Lo scontro Cultura/Natura è assimilabile all’attrazione/scontro Uomo/Donna, chiudendo idealmente un circolo che sovrappone la contrapposizione intellettuale Luce/Buio a quella religiosa Dio/Satana e sociale Bene/Male, scandendo di fatto le particelle elementari che definiscono il Caos primordiale, generatore e distruttore insieme.

Non a caso gli attori sono privati di un qualsiasi nome che li identifichi come riconoscibili e  che li possa distogliere dall’unicità di ciò che rappresentano, sono le particelle elementari Uomo e Donna, scaraventati nell’Eden al negativo, esseri primi alle prese con il mistero della creazione e della morte.

Il bosco è materia vivente ritratta in maniera sublime con fotografia virata e iperrealista , luogo spaventoso e contorto, ritorto su se stesso, abitato da un disperato disegno di morte, abitato da esseri parlanti e scosso da tremori e suoni (magnifico il lavoro sul sonoro) agghiaccianti.

Esso è manifestazione metafisica della penetrazione dell’uomo nel mistero della donna, il luogo fisico che rappresenta l’astrazione della mente, profondamente violata dalla follia.

Costantemente Von Trier sovrappone il sesso alla morte disseminando indizi a volte palesi a volte quasi subliminali, il cerbiatto con il feto morto, la volpe che annuncia il caos che si autodivora le viscere è un atto estremo di autoerotismo necrofilo, la tana della volpe vuota ovvero non più gravida è un buco nero ficcato nella terra. Non a caso la donna di fronte ad essa si abbandonerà ad un lancinante gesto di autoerotismo, nevrotico, disperato, completamente nuda sulla terra nera la Natura  si rigenera e si autofeconda. E dalla stessa tana il marito risorgerà/nascerà, dopo esserci entrato completamente e quasi seppellito.

L’ultimo baluardo della psiche distrutta della moglie è il capanno, luogo di fratture psichiche remote, in cui si compie l’esorcismo a tutti gli effetti della Cultura nei confronti della Natura. Violato il Mistero, la Natura liberta da tutte le architravi che la società razionale erige per imbrigliarla, esonda in tutta la sua potenza distruttrice, esattamente come nel passato venivano arse in crudeli autodafè le donne tacciate di essere streghe, ovvero avvezze ai misteri pagani della fertilità, della terra e dei boschi, così la ribellione della donna è profonda, ancestrale. Il Caos si compie nella scoperta del libro in cui la scrittura da razionale diventa puro gesto istintivo segnando il confine tra follia e razionalità, luogo oscuro situato nella parte ancora più intima e sconosciuta della mente umana che nel capanno è rappresentato dalla soffitta. Come il marito era dentro il corpo della moglie al momento della morte del bambino, ora è dentro la sua mente, nella più completa delle penetrazioni così che il sesso diventa definitivamente coincidente alla morte e ogni atto sessuale assume connotati apocalittici.

Tutto è mostrato a vista, le mutilazioni, le torture e le sopraffazioni che la donna compie sul marito sono mostrate in tutta la loro potenza iconografica. Nulla è nascosto poiché nel gioco a carte scoperte che il regista si è imposto nulla deve essere celato.

Non ci può essere una mistificazione della tortura e della violenza nel film poiché il mostrare  è la condizione unica per cui la finzione del cinema sia totale, un qualsiasi celare le immagini significherebbe conferire alle stesse intime interpretazioni  personali sulle quali lo spettatore non ha potere mentre il regista esige che lo spettatore si allinei al proprio sguardo e che quella sia l’unica e univoca rappresentazione della follia.

Poiché nel cinema l’unica verità possibile è la finzione, Von Trier mostra l’orrore della verità, a ritroso nel tempo e nello spazio, in una circolarità che è postulato dell’universo tutto, nella mente della donna – nel capanno- si compie il rito della fertilità che coincide con il mistero della morte.  Il grottesco acquista significati quasi esoterici, mentre compaiono  farlocchi segni astrologici di divinazione pagana, tutto si mischia in un magma fatto di sperma e sangue, ossimori che si divorano nella fotografia necrotizzata, il bosco ridotto a un buco nero spaventoso, primi piani su automutilazioni veneree che riconducono alla cattolica concezione del piacere come fonte di colpa e di morte.

La donna implode nel proprio utero, caverna, tomba, grembo, nella necessità di essere piena rivela la propria natura incompleta, isterica (ystèra: utero) che la guida e la rende demonio, cieca alla verità che rimossa si è infilata chissà dove per poi riproporsi con veemenza. Mentre il bambino moriva lei guardava, sulle note di Haendel con il ritorno alla fotografia pomposa e al ralenty solenne, il bianco e nero funereo virato di madreperla. Stretta col cazzo tra le gambe, riempita nella caverna e finalmente completa, guardava il suo bambino morire.

La differenza di stili che connota il tempo del reale, ovvero il ricordo di quanto successo, (appiglio realistico: la lavatrice, la doccia, oggetti che riconducono la scena ad una realtà domestica che non ha sottotesti simbolici) trattato con un’espressionismo estetizzante  palesemente falso nella sua trattazione filmica, e la sua controparte onirica e metafisica del bosco come luogo della mente, viene espresso con un esasperata crudezza nel dettaglio realistico, nell’inquadratura piena di materia filmica senza interpretazioni fuorvianti, dotata di una plasticità fisica e tattile che provoca una deriva sensoriale spiazzante.

Le contrapposizioni hanno fine nel rogo col quale l’uomo finisce la donna dopo averla strangolata, ovvero riprendendo il controllo dell’Ordine sul Caos e della Cultura sulla Natura, analogamente Von Trier ribaltando la verità della storia nella falsità dello stile, restituisce al cinema la sua funzione affabulatoria e fantastica, opera intellettuale di magnifico spessore e capacità realizzativa.

Un autore mai allineato ad un comune senso dello sguardo che riesce ad essere sempre se stesso solo cambiando, restando fedele non al un qualsiasi Dogma puntualmente disatteso, ma ad un’idea di cinema dotato di un’anima propria, emanazione di un pensiero dissacrante e consapevolmente provocatorio ma sorretto da una tecnica e una lucidità artistica-intellettuale difficilmente riscontrabili nel panorama cinematografico odierno. Profondamente indifferente alla plausibilità delle scene, atteggiamento molto spesso indicatore di una capacità critica miope e tesa solo a giudicare l’etica delle immagini artistiche e non alla loro elevazione ad astratta  trattazione del pensiero umano, Von Trier è più attento all’emozione che la costruzione della scena provoca nello spettatore, emozione che non deve necessariamente essere postitiva. Antichrist riassume nel suffisso Anti e nel Cristo tutte le contraddizioni e le contrapposizioni enunciate nel film, la sacralità e la sua negazione, così come chi vede nel cinema un santuario inavvicinabile sarà contrapposto a chi lo intende come luogo di piacere e dissolutezza. Dissolutezza di linguaggi codificati e dati per certi, ricomposizione di una capacità critica fondata su diverse, nuove certezze, traballanti, poco rassicuranti quanto energiche ed esclusive. Antichrist è cinema allo stato puro, vitale e opulento come la terra del bosco gravida di corpi.  

 

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