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M, il mostro di Düsseldorf

Regia di Fritz Lang vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su M, il mostro di Düsseldorf

di OGM
10 stelle

In questo film Fritz Lang sfoggia con misurata eleganza uno spiccato gusto per le simmetrie e le scenografie ampie e sobrie, che sottolineano il rigore scientifico dell'indagine e della caccia condotte contro un mostro micidiale ed anonimo, che uccide a tradimento e senza movente. Le scene ingombre di oggetti e di fumo ed i concitati e convulsi movimenti corali rappresentano, invece, le circostanze nebulose ed intricate in cui gli inquirenti sono costretti ad operare. Il metodo e la passione sono le due anime complementari della ricerca, che rispondono l'una alla razionalità, l'altra alla fantasia, e che la determinazione fa convergere sull'obiettivo. Vedere l'intera comunità cittadina, dai poliziotti ai ladri, accanitamente impegnata sullo stesso fronte e con la stessa finalità è certo un'utopia sociale che non si realizza nemmeno davanti alle grandi calamità naturali. Forse solo un maniaco assassino di bambine può davvero sconvolgere le coscienze e gli equilibri al punto di scatenare una generale e spontanea rivolta. La cattura del mostro da parte di un'improvvisata organizzazione di malavitosi e mendicanti è l'emblema dell'estremo paradosso in cui la sua presenza ha gettato la società. Il processo finale ne è l'apoteosi, con quel "tutti contro uno" che è il furore del crimine sano di mente, oculato, gestito da regole e mirante all'interesse, contro il crimine malato, che è la crudele manifestazione di una follia individuale e cieca. Però "M", con la sua autodifesa, rovescia le carte, rivendicando la sua innocenza, proclamandosi vittima della sua ossessione, e meno colpevole di chi, invece, delinque in maniera lucida e premeditata. Un cruciale contrasto, reso in chiave drammatica, sui principi e l'utilità della giustizia.

Su Fritz Lang

Lo sguardo analitico di Lang si acuisce, nel finale, diventando un dito puntato contro la patologia e la colpa, che sembrano indissolubilmente unite e concentrate nell'individuo che ne è portatore. Questo è il punto di vista della giustizia "popolare", che non ammette attenuanti psicologiche o sociologiche, è primitiva e semplificatrice, perché rifugge ogni teoria sulla responsabilità condivisa, ogni alibi che veda il delitto non come libera scelta dell'esecutore, ma come prodotto delle circostanze. Essa si ferma al dato di fatto, e mira esclusivamente all'eliminazione del pericolo che il criminale rappresenta. Questi così si trova senza scampo, conteso tra il linciaggio e la dipendenza assoluta da un impulso incontrollabile ad uccidere. Lang pone il suo protagonista tra due alternative che non sono il bene e il male, la condanna o la salvezza, ma sono invece, entrambe, espressioni della inesorabile durezza della realtà. La coraggiosa obiettività del regista tedesco evita accuratamente ogni contatto con la morale, per proporre la necessità come l'unico vero motore (interno o esterno) dell'agire umano.

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