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Tatarak (Sweet Rush)

Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film

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La recensione su Tatarak (Sweet Rush)

di OGM
8 stelle

Per il suo ultimo film, nel 2007, Andrzej Wajda convoca Krystyna Janda, che lui stesso, trent’anni prima, aveva lanciato come interprete protagonista ne “L’uomo di marmo”; però lei declina l’invito, dovendo assistere il marito Edward Klosinski (direttore della fotografia in “Film bianco”), affetto da un tumore ai polmoni allo stadio terminale. Morirà il 5 gennaio 2008. Solo successivamente le riprese potranno cominciare: alla trama principale, tratta (come per i film Le signorine di Wilko e Il bosco delle betulle) da un’opera di di Jaroslaw Iwaszkiewicz, e da un racconto di Sandór Márai (incluso nella raccolta Magia del 1941), si aggiungeranno i monologhi autobiografici scritti e interpretati dall’attrice. Nella cornice del film, girata a camera fissa in una camera da letto, ella è se stessa, che rievoca gli ultimi giorni trascorsi accanto all’uomo morente; nella storia principale, ambientata in Polonia nell’immediato dopoguerra, è, invece, Martha, moglie cinquantenne di un medico, madre di due figli rimasti uccisi durante la battaglia di Varsavia, e condannata, senza saperlo, da un male incurabile. La nostalgia per la gioventù è il tema dominante di una vicenda in cui tutto ciò che è vecchio si spegne lentamente, ma ciò che è nuovo, invece, brucia in un lampo: come l’estemporaneo amore tra due adolescenti o la breve fiammata di una rivolta.   I due percorsi tragici possono toccarsi solo per un attimo, come i destini di due moribondi che corrano con ritmi diversi verso la fine.  L’adesione alla vita è, per un ragazzo, una passione fresca  e leggera, e quindi fragile come un fiore. Il ventenne Bogus, operaio poco istruito, innamoratosi dapprima di una studentessa di filologia,  ed, in seguito, della stessa Martha,  non avverte la presenza degli ostacoli, nel cammino esistenziale che si accinge ad intraprendere: tutto gli appare spontaneo e flessibile come lo stelo di una pianta palustre, che si lascia modellare dalle mani e dalla corrente. Per questo crede di poter amare donne tanto distanti da lui, con lo stesso slancio con cui ci si tuffa nel fiume per immergersi e nuotare. Tatarak è il nome polacco del calamo aromatico, un’erba che cresce nei corsi d’acqua, e con cui, a Pentecoste, si decorano le case. Il suo fogliame rigoglioso, con la sua duplice fragranza, è portatore di un messaggio ambiguo: “Quando lo si strofina fra due dita, il suo nastro verde, a tratti increspato […] emana un odore, un vago profumo di acqua all’ombra di betulle, come dice Slowacki. Invece, quando si infrange la sua lama, e si affonda il naso nella spaccatura, che sembra striata di fibre di cotone, oltre alla fragranza di incenso, si avvertirà un odore di terriccio fangoso, di squame di pesce imputridite, l’aroma della morte.”
Andrzej Wajda, maestro del cinema verità, di un’arte sempre tesa ad armonizzare realtà romanzata e documento storico, intesse qui, in questo sconvolgente esempio di film nel film, una riflessione che, nella figura della protagonista, unisce, in un lacrimevole abbraccio, il dramma immaginato dai poeti e la cruda esperienza del dolore vero: una gelida presenza che, fuori o dentro il set, mostra sempre lo stesso inconsolabile volto.

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