Regia di Robert Altman vedi scheda film
Dopo D. Powell, H. Bogart e R. Mitchum, è la volta di Elliot Gould nei panni del detective privato Philip Marlowe. Un Marlowe che non indossa più impermeabile e cappello e che non ha più bisogno della pistola....o quasi. Un Marlowe quasi in pre-pensionamento tanto è indaffarato a prendersi cura del proprio gatto e ad accendersi l'ennesima sigaretta. Non è un uomo a cui tutte le donne cadono ai piedi (come il personaggio di Bogart); anzi, questo Marlowe interpretato da Gould sembra quasi infischiarsene; non gli interessano le piccole love story con le clienti o con le vicine di casa che giorno e notte girano semivestite. Non ha quel portamento da duro a cui nessuno riesce a tenere testa; piuttosto, sembra quasi ogni volta lì e lì per farsi mettere sotto. In realtà è solo una fugace impressione. Dietro quell'aria sorniona e vagamente ingenua, si cela un "dritto" (come più volte ripete un poliziotto), che non si fa mettere i piedi in testa e guarda in faccia con coraggio tanto degli sbirri dai modi spiccioli, quanto dei gangster senza scrupoli. Questo Marlowe dà valore all'amicizia anche quando questa può recargli dei problemi. Non ammette, però, l'imbroglio, il tradimento. E se la giustizia si è fatta prendere per i fondelli, o peggio ancora ha chiuso un occhio, allora bisogna proseguire da soli per la propria strada. Il prezzo è alto, ma non si può tradire la propria coscienza, la propria morale.
Robert Alman (a quanto pare "rivedendo" l'opera omonima di Chandler) celebra senza clamori la fine di un mito, il detective P.Marlowe appunto, consegnandoci un'opera in prevalenza notturna e giocata sugli interni; attraversata da un quasi costante quanto raggelante senso di humor; dove non ci sono scazzotate, inseguimenti mirabolanti o sparatorie; dove le pause prendono il posto dell'azione senza appesantire il racconto; dove non c'è suspense, ma si respira un'inesorabile senso di fine imminente.
Altman ci regala uno dei finali più belli della storia del Cinema....non solo dei mitici Seventies!
The Long Goodbye di J.T. Williams e J. Mercer è il canto funebre sul genere hard-boiled
8
Il suo personaggio di scrittore alcolizzato sul viale del tramonto rimane indelebile dietro quella barba bianca che lo fa sembrare un po' Hemingway un po' Welles
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