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Pranzo di ferragosto

Regia di Gianni Di Gregorio vedi scheda film

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La recensione su Pranzo di ferragosto

di LorCio
8 stelle

C’è un particolare passaggio di questa storia imprevedibile e lieta che spiega più di molte altre parole. È il momento in cui una delle quattro signore al centro del film afferma, probabilmente senza amarezza, che la vecchiaia, in fondo, offre poche occasioni per fare qualcosa di diverso. È proprio qualcosa di diverso, un’occasione che non si può perdere, il Pranzo di ferragosto che fa da cuore pulsante a questo piccolo gioiello di Gianni De Gregorio. Correndo contromano rispetto al brulicante traffico attuale che privilegia sempre e comunque il giovanilismo a scapito della memoria, dà voce ad un coro, assai vasto, di voci silenziose che tacciono solo per quieto vivere.

 

Fa caldo a Roma, e la Roma del quindici d’agosto è assolata, desolata, vuota. Come ci insegna Nanni Moretti, se rimani nella capitale in un giorno festivo d’estate, non puoi farti sfuggire l’opportunità di scoprire i mille aspetti di questa città misteriosa. Gianni e il suo amico “vichingo” scorazzano per le strade sconsolatamente vuote alla ricerca del cibo necessario per imbandire la tavolata. In effetti, ragionandoci, c’è un trasversale omaggio morettiano: è come se Gianni scrivesse metaforicamente al suo “caro diario” una situazione di surreale quotidianità (e quindi, non solo al primo frammento, ma molto, molto di sghimbescio vagamente riconducibile anche al secondo episodio del film di Nanni, quello delle scorribande tra le isole Eolie). Certo, questi rimandi morettiani sono spudoratamente personali, ma sono forse più plausibili quelli, che so, a Le balene d’agosto, bellissimo film con Bette Davis e Lillian Gish.

 

Analogia che salta maggiormente all’occhio è l’estrema serenità che contraddistingue non solo la messinscena (che, tuttavia, essendo vista dagli occhi di Gianni, risente un po’ di buffo nervosismo), ma soprattutto la vecchiaia di queste quattro donne. Oserei dire che c’è quasi un voler esaltare il garbo e la tranquillità dell’interno contro l’insopportabile afa dell’esterno, una sorta di buon ritiro dove coltivare la pace della lontananza dal quotidiano. Immerse in una condizione di isolamento involontario (ma fino a che punto?), le quattro signore si scrutano, si confrontano, si cercano, si piacciono, convivono. Sono diverse l’una dall’altra, hanno percorso differenti strade prima di arrivare a questo punto dell’esistenza. Estraggo un pertinente passaggio di una bella frase del film Calendar girls: “l’ultima fase è sempre la più radiosa”.

 

È vero: la signorile Donna Valeria, l’esuberante Marina, la mansueta Maria e la deliziosa Grazia sono donne che non hanno da chiedere più niente alla vita. Hanno sofferto, hanno patito il dolore del distacco, hanno cresciuto i propri figli, gli hanno lasciati andare e via dicendo. E ora vivono l’ultima stagione delle cinque disponibili (ricordate il film di Gianni Amico?), e cercano di onorarla sprigionando luce cristallina dagli occhi spenti per qualche cataratta di troppo, regalando un sorriso dolce come una camomilla prima di andare a letto, rimembrando la gioventù come quelle vecchie nonne che narravano ai nipotini i propri racconti. Fa niente che il caminetto si sia tramutato in un televisore scassato, fa niente che la situazione economica che distingue Gianni sia quella di una sorta di povertà, fa niente che all’origine della vicenda ci siano persone che vogliono sbarazzarsi dei propri cari, vuoi per lavoro e vuoi per farsela di nascosto con l’amante.

 

Forse propaggine lieta di Estate romana di Matteo Garrone (qui produttore; lì Di Gregorio era aiuto regista), Pranzo di ferragosto trasuda felicità e buonumore da ogni poro, come Gianni suda le proverbiali sette camicie per accontentare le sue ospiti. Con uno stile genuino e sincero in cui si incontrano la grazia del classico e l’innovazione tecnologica del digitale, è un esordio eccellente che arriva al momento giusto, che riscopre sapori persi nelle cucine delle nonne: è una pasta al forno cotta a puntino e gustata con la voracità di chi si siede a tavola con la pancia vuota. E che dopo non riesce a restare fermo, e si mette a ballare.

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