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Crossing Over

Regia di Wayne Kramer vedi scheda film

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La recensione su Crossing Over

di giancarlo visitilli
4 stelle

Non poteva esserci tempo migliore per l’uscita di un film avente come tema l’immigrazione, in un sistema-mondo che ha associato, erroneamente, sicurezza = lotta agli immigrati.


Infatti, Crossing Over, scritto e diretto da Wayne Kramer, alla sua seconda regia, racconta dei sogni, delle speranze, delle difficoltà e dei drammi di tantissimi immigrati che giungono ogni giorno a Los Angeles e lottano per riuscire ad ottenere un qualche documento che ne regolarizzi la presenza sul suolo statunitense. Tant’è che l’ottenimento della green card, indispensabile per esserci negli Stati Uniti, rappresenta una vera e propria lotta di sopravvivenza, una letterale via crucis verso l’agognata cittadinanza per molti stranieri. Il Crossing Over é l’espressione, appartenente alla biologia molecolare, per identificare l’intrico genetico, attorno al quale ruotano le dolorose gioie dei protagonisti del film. Questi, che saranno vittime di un giro di vite consistente, dall’adolescente coreano all’attrice australiana, passando per l’operaia messicana, troveranno un collegamento tra loro condividendo il fine ultimo di salvare o essere salvati.


L’attenzione, in modo particolare, è tutta su Max Brogan, agente dell'ICE (Immigration and Customs Enforcement), che ha il compito di ostacolare, con tutti i mezzi legali, l'immigrazione clandestina negli Stati Uniti. Opera nell'area del confine con il Messico ed è incapace di trattare le persone come fossero puri e semplici pacchi da accettare o rinviare al mittente. Incontra così la giovane operaia messicana, Mireya Sanchez, che, prima di essere arrestata dai suoi colleghi, lo supplica di aiutare il suo bambino. Nel frattempo Denise Frankel si occupa di difendere come avvocato i più deboli mentre suo marito Cole, approfittando del potere che ha sulla consegna o meno della Green Card, costringe una ragazza australiana a concedergli prestazioni sessuali. Conosciamo anche le storie di Zahta, giovane musulmana che vuole che si pensi anche alle possibili ragioni degli attentatori dell'11 settembre, l'adolescente coreano Yong Kim che si fa coinvolgere in una banda di giovanbi criminali, del musicista Gavin Kossef e della ragazza del Bangladesh Taslima.


Un tema così attuale e così meritevole di sofferenza ed empatia da parte di chi vi si accosta merita assolutamente l’emozione. Quella che manca nel film, costruito sul solito rimando, e all’adesione a tutti i punti di vista che equivale a uno, nessuno e centomila, ma soprattutto a nessuno. Il film, da questo punto di vista, sembra mancare di quella profondità che invece la materia richiede per apparire totalmente credibile e significativa. Come può concludersi serenamente oggi qualsiasi storia di immigrazione, con i tempi e le leggi che corrono? Il finale del film è imbarazzante per la sua troppo scontata visione delle cose da un punto di vista troppo americanizzato.


Crossing over, pur facendo parte di quel filone cinematografico che negli ultimi anni ha avuto notevole successo (Babel di Innarritu, Crash di Haggis, ecc.), con storie per lo più corali, è mancante proprio nell’ascesi, nell’analisi dei protagonisti del racconto: dall'ufficiale dal cuore tenero, alla messicana che passa il confine centinaia di volte, fino all'ebreo che riscopre la sua identità perché ha bisogno di lavorare, si ha come l’impressione che tutti fossero personaggi svuotati e privi di una certa valenza. La stessa che, invece, abbiamo trovato in film che, affrontando le stesse tematiche, hanno lasciato un segno, per esempio, il bellissimo Le tre sepolture di Tommy Lee Jones. In questo non c’è l’esigenza (o arroganza?) di concludere necessariamente tutte le vicende senza lasciare un pur minimo spiraglio per l'elaborazione personale allo spettatore. In fondo, il cinema è bello perché è sogno: in una sala è possibile pensare alla sicurezza propria e quella altrui, diversamente da come la pensa il mondo. Una parte di mondo. O quel paese che abbatte i ponti che possono essere utili per l’”attracco” di ogni uomo che fugge dalla morte. Che bello sarebbe pensare lo straniero nel nostro paese recitare e il naufragar m’è dolce, in questo mare.


Giancarlo Visitilli 

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