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Il diario di Jack

Regia di Mike Binder vedi scheda film

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La recensione su Il diario di Jack

di degoffro
2 stelle

Girato nel 2006 tra “Litigi d’amore” del 2005 e “Reign over me” del 2007, ma distribuito in Italia solo nel luglio del 2008 (ma in Usa è uscito direttamente in dvd,  vorrà pur dire qualcosa), “Il diario di Jack” esprime alla perfezione il cinema di Mike Binder. Mix maldestro e velleitario di commedia e dramma (più la prima che il secondo) con tanto di facile e pietosa moralina incorporata. Sorta di “Jerry Maguire” dei poveri (ad un certo punto il protagonista Jack, a seguito di un malriuscito intervento ai denti, dice “sembro il cugino ritardato di Tom Cruise”), “Il diario di Jack” (ma l’originale “Man about town” ovverosia uomo di mondo è più azzeccato) è di una banalità sconfortante e di una piattezza imbarazzante. Quando vorrebbe far ridere suscita tristezza, quando vorrebbe commuovere suscita risate. Men che meno fa riflettere. Scritto malissimo dallo stesso regista che, al solito, si riserva anche una piccola parte come attore, girato ancora peggio con un inutile abuso di split screen e di flashback (quelli con il protagonista da piccolo sono i più terrificanti e posticci) e persino risibili inserti cartoon o riprese attraverso un acquario (nella scena cruciale della separazione tra Jack e la moglie), il film è la consueta rancida ed ipocrita parabola con protagonista il giovane uomo di successo che, giunto ad un certo punto della sua vita, decide di guardarsi dentro per capire che cosa non va (“Chi sono io!” scrive sulla lavagna il responsabile del corso di formazione per adulti a cui il protagonista partecipa) e perché non è felice (all’inizio è un continuo domandare agli altri “Sei felice?”). Jack decide quindi di scrivere un diario personale nel quale può mettersi completamente a nudo, rivelando tutti i suoi segreti, anche quelli professionali che sarebbe meglio nessuno conoscesse. Peccato che il diario cada nelle mani sbagliate (una giornalista ambiziosa in cerca di scoop) e il tutto potrebbe compromettere definitivamente la sua carriera (parentesi talmente brutta da non crederci). Alla fine capirà che deve ancora imparare molto dalla vita e quali sono i veri valori che contano. Abbandonato il lavoro, tornerà con la moglie con cui si era malamente lasciato dopo che la donna gli aveva confessato di essere andata a letto con il suo miglior cliente e si tufferà con lei nell’acquario di casa imitando il gesto del babbo un po’ fuori di testa. Per arrivare a queste illuminanti e soprattutto nuove conclusioni (“Quando vuoi qualcosa dalla vita devi lottare per ottenerla” pontifica il protagonista) lo spettatore si deve sorbire faticosamente un’ora e mezza di situazioni riciclate (basta con i vecchi rincoglioniti che si guardano i porno o ballano nudi per casa), battute ammuffite (se ne salva una “Lavoro più sodo per i miei addominali che per il mio matrimonio” dice Jack ad evidenziare molto bene ciò che più di tutto conta per lui), equivoci telefonati e risaputi (quelli finali all’ufficio di Jack alle prese contemporaneamente con la moglie a cui parla attraverso l’auricolare del cellulare e con il suo cliente che è stato l’amante di una notte della donna, di fronte a lui a implorargli perdono), pillole di saggezza da asilo nido affidate alla ingombrante voce del protagonista, personaggi di una superficialità inquietante, gag spaventose ed oscene (l’operazione dal dentista, il recupero del diario al ristorante con conseguente inseguimento per le strade di Chinatown e conclusivo faccia a faccia con il tentativo fallimentare di mettere in pratica quanto imparato ai corsi aziendali di karate, il provino di Basic instinct). Dulcis in fundo un lieto fine che più fasullo e vuoto non si può. Operazione confusa, esagitata, pretenziosa, elementare e francamente indecorosa. Quanto poi alla presunta satira velenosa sulla frivolezza del mondo che ruota intorno alle star di Hollywood, senza paura di essere smentiti, si può dire che il bersaglio è completamente mancato. Più che un film sembra il plot di una sit-com sfilacciata ed artificiosa con le risate preregistrate, destinata a chiudere dopo la prima puntata. Binder dove vive per proporci ancora fesserie demenziali ed incolori come questa? Nel disastro generale la cosa più accettabile è la recitazione di Ben Affleck, stranamente in parte, il che già la dice lunga (malamente sprecate invece la statuaria e sempre bellissima Rebecca Romijn e la brava Gina Gershon) anche se gli unici momenti divertenti sono affidati alla piccola ed incisiva partecipazione di un esilarante ed irresistibile John Cleese. E’ lui che, nel commentare le prime pagine dei diari degli utenti del suo corso, involontariamente esprime al meglio a cosa si riduce il film: “superficiali e noiose vacuità”. Sempre il personaggio di Cleese dice: “Dovete scavare in quel grosso cumulo di cacca che è l'apparenza”. Ecco il problema di Binder: si è fermato all’apparenza. Improponibile. Voto: 3

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