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Boystown

Regia di Juan Flahn vedi scheda film

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La recensione su Boystown

di PompiereFI
6 stelle

Chueca, Madrid. Un tranquillo rione della capitale dove vive un discreto numero di omosessuali. Tra le maglie di questa comunità si muove qualcuno che vorrebbe trasformare il distretto in un moderno, tollerante, simpatico quartiere dei sogni, cercando di imprimere nella mente degli abitanti l’assoluta necessità di un graduale e costante restauro, nell’intento di favorire l’insediamento di coppie gay facoltose. Rinnovamento, modernizzazione, aggiornamento, culto del corpo, autostima, iniziativa: queste le parole nuove che si vorrebbero introdurre all’interno del barrio. Intanto, quattro vecchie signore proprietarie di abitazioni, vengono rapinate e assassinate da una figura neanche tanto nascosta, e ciò darà origine a una sana e animata baraonda tutta madrilena.

 

Mentre in Italia si ha ancora a che fare con episodi di intolleranza verso i gay che intendono ottenere in affitto un appartamento, negato loro a causa delle inclinazioni sessuali, a poca distanza da noi c’è un paese che si diverte, in una rappresentazione allegra e farsesca, su un argomento tabù per il nostro povero paesello. A parte l’inesistenza di qualsiasi vera unione civile, in Italia manca una tutela nei confronti degli omosessuali, esposti come sono a qualsiasi tipo di discriminazione.

La Spagna non sarà il paradiso terrestre, ma almeno sembra sulla retta via in quanto ad apertura e rispetto per le diversità, celebrate in una giocosa e colorata mise-en-scène che ha il pregio di arricchire il senso di integrazione e di accoglienza dell’altro. Un ragionamento sentito e allo stesso tempo satirico, sia su come certi omoni panzuti e villosi (i cosiddetti “orsi”) vivono il quartiere gay più famoso di Madrid, sia su come la speculazione edilizia stia lì alla finestra, pronta a ghermire zone declassate e un po’ abbruttite.

 

Al centro della vicenda ci sono l’istruttore di scuola guida Leo (Pepón Nieto, già visto in “Cachorro”) e Ray (Carlos Fuentes), grande patito di X-Men. Sono una coppia di orsi rozzi e spiantati che rutta, scoreggia, indossa vestiti casual e scarpe da ginnastica, trovandosi a disagio negli ambienti fashion del vicinato. Gli interpreti (una rappresentazione anticonformista della mascolinità all’interno della comunità GLBT) delineano due fidanzati un po’ tonti ma di sicuro impatto carnale; i loro corpi provocanti sono messi a nudo più volte, anche in una scena (un po’ gratuita, a dire il vero) che ci fa percorrere i corridoi di una sauna caliginosa.

Ingenui e simpaticamente ottusi, scambiano il designer Norman Foster per un parente di Jodie Foster e per un clone del Norman Bates di “Psyco”, film omaggiato con la scena della doccia e rievocato grazie ai rapporti quasi morbosi tra le madri e i figli. Nessuna volontà di rifare Hitchcock, per carità, tuttavia nella pellicola c’è anche un riferimento lunatico a “Marnie”, quando il colore rosso del finale prende il sopravvento.

 

Si diceva delle madri e dei vincoli anomali con la loro prole. La bizzarra investigatrice di polizia Mila (una disinvolta e centrata Rosa Maria Sardá), accompagnata nelle sue operazioni da un figlio dalla nebbiosa identità sessuale, è al contempo un’agente ardita ma afflitta da fobie di ogni genere: paura dei ragni, degli insetti, di odori vari (come profumi e detergenti), perfino della barba incolta. Per fortuna conosce bene gli effetti delle pastiglie di Diazepam, e prendendo quelle si calma un po’. Tra la voglia di gestire un caso à la C.S.I. e il desiderio di aver a che fare con un serial killer di quelli veri, durante le indagini avrà il vantaggio di non soffrire di vertigini (almeno quelle!) come James Stewart in “Vertigo”.

La madre di Ray invece, è inarrestabile nella sua acredine di suocera arrogante che piomba nella vita della coppia come un asteroide annientatore. E’ una donna che non esita a mettere il gatto nel microonde, o a unirsi ai due protagonisti nelle uscite serali presso i locali a tema, non disdegnando l’idea di entrare in dark room con un accendino. Antonia, questo il suo nome, è il personaggio più retrogrado, fastidioso e chiacchierone, ma anche quello che si inserisce alla perfezione nel quadro di questa “commedia con delitti” pregna di situazioni spassose.

 

Edificato liberamente su una serie di fumetti, “Chuecatown” è stato realizzato con poco denaro e un discreto acume. Schematico e un po’ ripetitivo, con riflessioni a volte scorrevoli a volte stentate, è da recuperare per una serata dedicata al disimpegno intelligente.

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