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Baby Mama

Regia di Michael McCullers vedi scheda film

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La recensione su Baby Mama

di mc 5
4 stelle

Continuando in questa "personalizzazione" del rapporto tra spettatore e film, dopo aver verificato la nascita di un'autentica relazione d'amore tra il sottoscritto e quel gioiello chiamato "Ghost Town", eccomi di nuovo qui a definire quale tipo di rapporto perverso sia nato dalla tribolata visione di "Baby Mama". Premesso che anch'io ci ho messo del mio, scegliendo un film avente come argomento centrale un tema -l'utero in affitto- di cui francamente non mi poteva fregar di meno, era però l'unica proposta cinematografica vagamente abbordabile, nel contesto di un'estate desolante come poche altre. Intendiamoci, non sto parlando di una pellicola verso la quale indirizzare il mio odio, non si tratta di un'opera detestabile a priori, qua per fortuna siamo lontani dagli inqualificabili "Transformers" o dalla sgangheratezza di "St. Trinian's". Nel caso di "Baby Mama" si tratta invece di un evidente problema di "comunicazione", nel senso che io e questo film siamo sintonizzati su due frequenze diverse e dunque non ci capiamo. Accennavo prima al tema (quello di una protagonista manager di successo che, impossibilitata ad avere figli, decide di ricorrere al cosiddetto "utero in affitto"). Ribadisco che si tratta di un tema verso il quale il mio interesse è prossimo allo zero e dunque questo rivoltarlo come un calzino utilizzando toni che vanno dallo sciocchino al grottesco, ha avuto sulla mia capacità di sopportazione un effetto micidiale. Ma poi, sempre per ciò che attiene alla comunicazione, c'è un altro aspetto del problema di cui, a mio avviso, si parla troppo poco. Che la cultura americana propagata attraverso il cinema made in USA sovrasti e spesso sorpassi quella di matrice europea è un fatto. E c'è poco da polemizzare se tutti, avendo assimilato per esempio l'epopea western, abbiamo dentro di noi una buona parte di formazione culturale yankee. Eppure dovremmo fare tutti quanti un piccolo sforzo per liberarci parzialmente da questo retaggio, visto che il nostro patrimonio culturale (in tutti i settori, dall'Arte al Pensiero) non ha nulla da invidiare a quello dei cowboys e dei pionieri. Perchè ho fatto tutto questo discorso? perchè gran parte dei film americani che arrivano sui nostri schermi non si pongono il problema della loro "universalità", essendo stati realizzati e prodotti PER gli americani, e sono dunque imbevuti, intrisi, impregnati, di una visione del mondo e dell'umanità che è SOLO quella yankee. E badate che non sto affatto delineando una mia deriva antiamericana, ci mancherebbe, adesso poi che al potere c'è il mio amatissimo Barack Obama! E posso aggiungere che il problema di cui sto parlando ho verificato che si presenta non tanto per i film di genere (thriller, horror, action, per i quali il processo accennato prima è inevitabile e perfino giustificato) quanto, e spesso a livelli macroscopici, ogni volta che ci troviamo alle prese con prodotti comico/brillanti. Ecco, in molti di questi ultimi casi, assistiamo ad una sorta di "scontro fra civiltà" (europea e americana). Perchè io penso che noi europei rispetto ai nostri amici yankee abbiamo meccanismi e riferimenti umoristici spesso lontani anni luce (e a formare in modo diverso questi riferimenti contribuiscono parecchio i diversi modelli di televisione che dominano nei due rispettivi blocchi, perchè io ho la percezione che -nonostante l'avvento clamoroso di internet- sia ancora ovunque la televisione a creare ed influenzare la "forma mentis" della popolazione: si pensi a quale mutamento socioculturale epocale -secondo me negativo, ma non è questa la sede per discuterne- hanno contribuito in Italia le reti Mediaset!!). E qui devo aprire una parentesi a cui tengo moltissimo e che si inquadra nel discorso in oggetto. Intendo riconoscere e sottolineare il merito enorme degli americani nell'aver prodotto cartoni animati che a questo problema di "universalità di linguaggio" hanno dato una bella sgrossata! Chiaro che sto riferendomi alla Pixar (che Dio la benedica, sempre!), la quale sforna, sì, prodotti molto radicati in un immaginario culturale USA (vedi: "Cars"), ma anche gioiosamente UNIVERSALI, clamorosamente GLOBALI. Due capolavori epocali come "Ratatouille" e "Wall-E" vanno infatti visti in un'ottica che travalica ogni confine culturale, e dunque la loro caratura è mondiale e tutt'altro che portatrice di valori yankee da colonizzatori culturali. Ma torniamo al nostro film così "miserello" nella sua ottica fottutamente (nel senso di pervicacemente) americana. Ho detto "americana"- attenzione- e NON "conservatrice": anzi, le istanze che affiorano nel corso della visione, benchè confuse, sono squisitamente "liberal", il che non modifica di una virgola la mia opinione finale: e cioè che certi film (e questo ne è un esempio assolutamente lampante) li possono capire (e dunque fruirne con gli strumenti culturali idonei) SOLO ed ESCLUSIVAMENTE gli americani. Detta ancor più semplicemente, le cose stanno che questo è un film TROPPO americano per noi europei. Prendiamo ad esempio i meccanismi della comicità, elemento primario in un film di genere "brillante" come questo. Ebbene, io non ho riscontrato, in tutti i 96 minuti di durata, nemmeno una battuta che mi abbia fatto ridere, solo qualche timido sorriso qua e là. Mi sono documemtato e, se ho ben capito, le due attrici protagoniste sono assai popolari negli USA in quanto conduttrici rodatissime di affermati show televisivi satirici. Ecco il punto. Questa qui è gente che fa ridere gli americani, ricorrendo a tempi, meccanismi e soprattutto riferimenti politico-culturali che non ci appartengono per niente, se non a qualche intellettuale fighetto che può permettersi abituali e consolidate frequentazioni dei media americani. Io non conosco l'inglese, se non a brandelli scolastici, ma ho provato a guardare certe riproposizioni doppiate in italiano del "Saturday Night Live": ebbene ho avuto la piena conferma della mia tesi, in quanto un buon 40% dei riferimenti culturali-mediatici di quel tipo di comicità satirica, nel passaggio da "loro" a "noi", subisce una dispersione che ne  impoverisce irreversibilmente l'efficacia stessa della comunicazione e del messaggio. A tutto   questo discorso, a peggiorare la mia valutazione negativa, si aggiunge anche una spiccata antipatia che ho provato per  le due attrici protagoniste: è stata una sofferenza reggerle. Il loro stile di recitazione, certi frizzi e lazzi, certe insopportabili smorfiette, tutto ciò ha eretto fin dall'inizio fra me e loro una barriera. Ma anche la sceneggiatura ha fatto la sua parte, delineando  due personaggi femminili verso i quali avrei sparato (metaforicamente, s'intende) ad alzo zero. Una è affermata manager in carriera che, a 37 anni, vuole diventare madre a tutti i costi; e già partiamo male, perchè da sempre nutro una istintiva avversione nei confronti delle donne manager, nei loro austeri "tailleurini" e col loro bravo pelo sullo stomaco (praticamente il ritratto della Marcegaglia, una che non ho mai sopportato, tremenda). La co-protagonista è una picchiatella sgangherata che definire odiosa (col suo repertorio di faccette e facciotte e con la sua fastidiosa fisicità) è un puro eufemismo. Cosa salvo del film? Senz'altro le partecipazioni di due attori che ho sempre amato, ma che qui -come contaminati dalla mediocrità generale- appaiono leggermente sottotono: Greg Kinnear e Steve Martin, entrambi comunque bravissimi, ma non sufficientemente da valere, loro soli, il prezzo del biglietto d'ingresso. Qualcuno ha scritto che questo film "fa ridere e nel contempo fa riflettere": a me veramente non ha fatto nè l'uno nè l'altro. Anzi no, mi correggo, una riflessione il film me l'ha stimolata. E cioè mi ha portato ad interrogarmi su quale senso abbia far uscire nelle sale italiane un film del genere, un film che ha il sapore di pay per view, o se non fosse stato molto più logico farlo uscire direttamente in dvd. 
Voto: 4

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