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Asterix alle Olimpiadi

Regia di Frédéric Forestier, Thomas Langmann vedi scheda film

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La recensione su Asterix alle Olimpiadi

di chinaski
4 stelle

Risulta talmente esplicito in alcune operazioni cinematografiche l’abbandono della forma espressiva per la costruzione di enormi contenitori commerciali che sarebbe sbagliato non soffermarsi ad analizzare questo fenomeno. La trasformazione, cioè, del prodotto filmico in una dimensione spazio-temporale da riempire di marche, volti noti, echi cinematografici, una dimensione visiva colmata da tutto quanto è subito riconoscibile, classificabile e perciò immediatamente adatto al consumo.
Le avventure di Asterix e Obelix sono puro pretesto narrativo per la rappresentazione di un mondo che nasce non tanto dall’immaginario di Goscinny e Uderzo (se non per quegli elementi conosciuti da tutti, come per esempio le fisionomie dei personaggi) quanto dalle possibilità di un elevato investimento economico. E’ dunque il capitale a costruire il film. Sono i soldi spesi a creare le immagini. Asterix alle olimpiadi è infatti, con un budget che oscilla tra i 75 e gli 80 milioni di euro, il film in lingua francese più costoso di sempre.
E questa logica produttiva si trasforma in dinamiche filmiche che non hanno nulla di casuale. Il gioco metacinematografico della citazione è il primo a venire alla luce, con le sue finalità puramente ludiche (Delon, nei panni di Cesare, che parla allo specchio ricordando i suoi film, la presenza(!?) della spada laser di Luke Skywalker). Poi ci sono i richiami al mondo della moda (la griffe inventata JC sui vestiti di Giulio Cesare, la presenza della modella Hessler, testimonial di Alice in Francia, e della signora Karambeu), i volti famosi del cinema francese che da anni non fanno più un film decente (lo stesso Delon, Gerard Depardieu), tutta una serie di cammei direttamente dal mondo della formula uno, del calcio e del basket (regni del nuovo divismo mediatico) e per concludere un’incursione nel mondo catodico grazie alla presenza di Paolo Kessisoglu e Luca Bizzarri, imbarazzatissimi nelle loro parti, che in Francia vanno alla grande con Camera Café.
La durata extralarge della storia (quasi due ore) sembra poi allargare a dismisura gli spazi e i tempi di questo contenitore, colmato fino all’orlo di riferimenti commerciali e divistici (si faccia attenzione al finale), pieno di fracasso e voli pindarici della macchina da presa sulle ricostruzioni di Roma e Olimpia fatte nei nuovi studi spagnoli di Alicante e poi ampliate digitalmente in post-produzione, a testimonianza che i soldi sono stati spesi in grande quantità attraverso lo sperpero dell’ingente capitale a disposizione, vero protagonista di questo film.

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