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Il nascondiglio

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Il nascondiglio

di mc 5
8 stelle

C'era molta attesa per il ritorno di Avati all'horror dopo 11 anni di assenza di frequentazione del genere. Genere da cui era partito (nel lontanissimo 1968) con pellicole come "Thomas" e "Balsamus" che in pochissimi hanno visto e che sono diventate dei "cult", ma che hanno poi avuto dei sèguiti piu' popolari fra cui "La casa dalle finestre che ridono", film che riscosse anche un discreto successo di pubblico (pur assumendo anch'esso lo status di "cult movie"). Ma c'era attesa anche per un altro motivo: ero curioso di vedere cosa avrebbe combinato Pupi dopo il mezzo fallimento di "Ghost son" di Bava e la catastrofe di "La terza madre" di Argento. Beh, se paragonato alle opere dei due colleghi, questo "Nascondiglio" potrebbe quasi apparire come un capolavoro, anche se poi analizzandolo come prodotto a sè stante, non è esattamente così. Pur avendo Avati nettamente vinto la partita del thriller-horror italico rispetto agli altri due registi, ha realizzato un film sì discreto, ma non eccezionale. L'impronta fortemente artigianale del regista bolognese si sente anche stavolta pur essendo lo scenario agli antipodi rispetto a quella tradizione di "storie bolognesi" a cui eravamo abituati. In ogni film di Avati si avverte forte questo sapore d'antico, questo impianto artigianale che è ormai un suo marchio di fabbrica, e che si può percepire anche dalla scelta degli attori "di contorno" spesso orientata verso attori anziani di provenienza teatrale (significative in questo senso le presenze di Angela Goodwin e Francesco Carnelutti). Se devo essere sincero, l'Avati che raccontava le storie di amicizia e d'amore su sfondo bolognese mi aveva stufato, e parecchio anche. E anche la "Cena per farli conoscere" non mi era piaciuto granchè. Stavolta invece ho trovato un prodotto piuttosto ben fatto, che in ambito "thriller gotico" (definizione dello stesso Avati) ha delle peculiarità che lo rendono abbastanza originale, e mi riferisco a quel marchio di fabbrica cui accennavo prima, a quel sapore "classico" di ogni film di Avati, qui sovrapposto agli elementi tradizionali del filone "horror-di genere". La consuetudine del genere è piena di "case maledette" e dunque la scelta di Avati potrebbe apparire scontata, eppure la casa che Laura Morante sceglie per aprirvi un ristorante ha delle caratteristiche che la differenziano da altre sceneggiature analoghe, con un antefatto (che noi vediamo nel prologo del film) piuttosto ben congegnato e scritto. Altro elemento che fa riflettere circa quel "sapore d'antico" che domina nei film del regista bolognese è la totale assenza di cellulari, in questo film si vedono solo telefoni tradizionali: è solo un dettaglio minimo, ma dà un'idea. Poi potremmo aggiungere che, pur trasferito lo scenario da Bologna agli USA, anche qui di "storie di provincia" si tratta, essendo il film ambientato nella cittadina di Davenport, di cui sinceramente ignoro la collocazione geografica, ma che a giudicare dalle immagini pare proprio l'opposto di una metropoli urbana. E veniamo al cast, sul quale le osservazioni da fare sono parecchie. Partiamo dalla protagonista assoluta: Laura Morante. Si tratta di una delle migliori interpreti italiane, anche se so che a qualcuno sta antipatica d'istinto (non è il mio caso) forse perchè può infastidire quel suo modo di recitare che piu' d'uno giudica un pò "isterico", ma che io trovo solo di matrice "emotiva-teatrale". In questo film poi, mi è parsa perfettamente in parte, nient'affatto sopra le righe (e se non vado errato per lei si tratta di un debutto nel genere thriller-horror...). Che dire del cammeo di Sidney Rome? Bah, nient'altro che quello che chiunque può constatare: che è quasi irriconoscibile, e non saprei se solo per cause naturali-biologiche o per effetti "chirurgici"...Rita Tushingham, che fu una protagonista del free cinema inglese anni'70, appare qui nel ruolo di una donna misteriosa e "disturbata". Due parole su quelli che potremmo definire due "super cammei" del cinema di genere: Venantino Venantini e Giovanni Lombardo Radice, due volti notissimi presso gli amanti dei b-movies, soprattutto il primo che potrebbe raccontare, avendola vissuta, gran parte della storia del cinema italiano. Sorprende invece la sotto utilizzazione da parte di Avati di due star internazionali come Treat Williams e Burt Young: il primo ha un ruolo dapprima interessante ma che poi sembra svanire nel nulla, mentre l'altro appare parecchio nel film, ma -anche lui- nell'economia complessiva della storia, finisce con l'incidere molto meno di quello che uno si aspetta. E chiudo con una nota comico-demenziale: Yvonne Sciò, una donna una garanzìa. Confesso che la Sciò (che nel frattempo -come si vede nei titoli di testa- ha assunto un improbabile doppio cognome) per me è sempre stata un mistero: costei infatti (e ci sono foto che lo attestano) ha sempre avuto "immanicamenti" ad Hollywood...ma come ha fatto??? In ogni caso è comico l'effetto che fa vederla nel film sempre con un sorriso pimpante (quasi anche quando la vediamo cadavere). Sciò a parte, comunque il film non è affatto da buttare, col suo originale mix di b-movie, Hitchcock e sapore di "fatto in casa".

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