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Die Hard. Vivere o morire

Regia di Len Wiseman vedi scheda film

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La recensione su Die Hard. Vivere o morire

di lussemburgo
8 stelle

A distanza di dodici anni dall’ultima interruzione, riprendono le avventure di John McClane, poliziotto di città rude e manesco che incappa costantemente in improbabili disavventure dall’altissimo tasso di demolizione. Il quarto capitolo riprende gli assunti cardine della serie: l’uomo giusto sempre nel posto sbagliato, l’imposizione di spazi circoscritti (comunque sempre più ampi: un grattacielo, un aeroporto, una città, un Paese), un avversario dalla ricercatezza quasi decadente, un piano di folle lucidità, la simpatia per le armi da fuoco, il sarcasmo del protagonista. Ben consapevole del debito tematico con le puntate precedenti, Wiseman aggiorna la vicenda alle nuove tecnologie e ribadisce l’innovazione del buddy movie della puntata precedente affiancando all’eroe un giovane hacker. Il film, giocando già nei dialoghi con gli antefatti e la tipologia dell’eroe, rende ironicamente impotente l’inamovibile personaggio, incapace per età e carattere a capire il flusso degli eventi, il meccanismo d’attuazione del piano che si trova a contrastare. Alla fisicità di Willis, il film contrappone una trama basata sull’informatica, sulla rete e su tecnologie a lui del tutto sconosciute, che gli impongono di portarsi dietro il co-protagonista, ciò che permette al film di ingraziarsi anche il pubblico più recente e meno avvezzo alle precedenti scorribande devastatrici di McClane.
Die hard 4 è anche estremamente efficace ad esplicitare la terribile concretezza del virtuale, padrone onnivoro di ogni aspetto della nostra esistenza, delegata ormai interamente alla precisione dei microprocessori per evitare proprio quell’intervento umano, ormai considerato inaffidabile, che nel film sfrutta la generale dipendenza dai computer per crearsi un agibile spazio di manovra. Ma la paranoia elettronica sceneggiata risulta del tutto credibile, e il virtuale immaginato, avallato da traumi recenti, rende plausibile - per i personaggi e, quasi, per gli spettatori - anche l’esplosione del palazzo del Congresso.
Nel personaggio di McClane è anche insita una caratterizzazione proletaria, la quotidianità della vita da poliziotto di strada con la sua efficace rozzezza, mentre i suoi avversari, per lo più dandy psicopatici, si trovano ad elaborare fantasiosissimi piani di semplice accaparramento pecuniario. Sono capitalisti alla ricerca di soldi facili, dotati di grandi mezzi ed enormi ambizioni, pronti a qualsiasi devastazione per derubare gli altri. È sempre una questione di soldi, in fin dei conti, che si tratti di rapinare dell’oro o di prosciugare elettronicamente i conti in banca, un bieco interesse economico che svilisce qualsiasi parvenza di superiorità e ridimensiona la nemesi di turno riportandola ad una concretezza molto terrena. Quella concretezza del menar le mani, l’efficacia del film d’azione vecchio stampo, pur nell’inevitabile ricorso all’elettronica delle scene più esagerate, si conferma anche negli sgherri dell'antagonista, molto bravi a picchiare McClane secondo il copione della serie per cui il protagonista deve sanguinare e ammaccarsi ad ogni inquadratura, e restituisce, ad una sceneggiatura incentrata sul virtuale, una densità fisica in cui il poliziotto incarna, decuplicandolo ironicamente, un virus informatico che, letteralmente, devasta un prezioso e ben congegnato software. Ridendoci sopra, tra un botta e l’altra.

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