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Elizabeth. The Golden Age

Regia di Shekhar Kapur vedi scheda film

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La recensione su Elizabeth. The Golden Age

di giancarlo visitilli
8 stelle

E’ salita agli onori degli altari, è ritratta in migliaia di dipinti, sulla sua vita si son scritte pagine e pagine, è ritratta anche sulle vetrate delle chiese gotiche. E proprio da queste ultime prende le mosse la vita della futura regina, Elizabeth I d'Inghilterra, una giovane donna che trascorre le sue giornate in compagnia delle proprie dame e dell’affascinante corteggiatore Robert Dudley, per il quale sboccia l'amore. Ma la realtà che attende la regina, una volta salita al trono, è ben diversa da quella alla quale è stata abituata: controversie religiose, complotti, guerre e l'impossibilità di vivere la propria vita privata come qualunque altra giovane donna della sua età, angustieranno l’esistenza di una donna energica e forte anche nei sentimenti.
E’ interessante che il film cominci dal periodo che precede l’ascesa al trono di Elizabeth, nel quale è ancora libera di vivere come una giovane spensierata ed innamorata; periodo nel quale deve imparare ad essere regina e in quanto tale, capace di gestire dapprima i suoi consiglieri, prima che il suo popolo, affrontare i suoi drammi personali di rivalità con le altre donne della corte, per poi risolvere le gravi e grandi rivalità con gli altri popoli nemici. Il regista indiano Kapur sceglie una precisa chiave di lettura, per mostrarci quella parte della personalità di Elizabeth che non conoscevamo così bene come quella a cui siamo stati abituati da film e biografie precedenti a questo film. Qui l’energia e il carisma della Elizabeth tradizionale, lasciano spazio alla solitudine e alle grandi difficoltà che la regina incontrò durante il periodo di suo massimo potere: dall’essere donna innamorata, alla gestione di doveri e responsabilità, troppo onerose anche per gli uomini e le donne che oggi detengono tali compiti. La scena di lei, donna di potere, ma che mostrando tutta la sua fragilità, è in lacrime dinanzi al ritratto del padre, a tal proposito, è significativa, se la si pensa in rapporto a quello che di lì a poco affermerà: "in quanto figlia di mio padre, non ho paura di niente”.
E’ l’immagine di chi governa, quella che in questi giorni tocca ricoprire ad un presidente del consiglio quasi sconfitto e afflitto, la stessa parte che è toccata qualche anno fa anche all’ex presidente del consiglio e domani toccherà a colui che varcherà la soglia del potere, avvertendo anche una certa predestinazione divina, come per Elizabeth, fino al punto da credere d’essere “l’unta del Signore”. D’altronde, noi di uomini che si son sentiti i “gesù” della situazione ne abbiamo avuti. In realtà si tratta del potere che fa i conti con sé stesso, specchiandosi e riflettendosi nello specchio di una società avvilita dalla malvagità e dall’ambiguità di un potere che ormai la sovrasta. Poi possiamo anche ammettere la battuta alla Jovanotti “mi fido di te”, con la retta convinzione che il popolo si possa ancora fidare di chi ormai è semplicemente investito o vestito (per fare riferimento ai bellissimi abiti di Elizabeth, nel film) di un ruolo obsoleto. Le parole di Elizabeth, “noi Principi stiamo su un palcoscenico, sotto gli occhi del mondo intero”, sembrano le stesse pronunciate oggi dai nostri governanti, che credono di stare al centro dell’attenzione di un popolo che, invece, guarda sempre più altrove, purchè lontano dalla politica (da questa politica!). D’altronde, il ruolo che la giovane regina si è assunta, per esempio, non è tanto più duro se messo in confronto a quello del nostro attuale governo: messo in pericolo da frequenti complotti e tentativi, nel film di assassinio, nella vita reale di defenestrazione.
Per fortuna Elizabeth ha anche vissuto le vicende amorose (per spiegarci, sono quelle che in questi giorni fanno tanto parlare la stampa delle vicende del premier francese e di sua moglie), anche se tutte a suo modo, essendo il suo amore non corrisposto da Dudley. Questo è stato per lei un tradimento di gran lunga superiore rispetto al tradimento politico, di qui la sua scelta di restare nubile, ma di consacrarsi sposa, vittima sacrificale, alla sua amata-odiata Inghilterra.
Bravo Kapur, non solo nella gestione dell’intera regia, nella creazione di accurate inquadrature, simili alle tele ad olio di fattura fiamminga, da Van Eich a Van Dick; per la squadratura degli spazi, sempre imbarocchiti dalla saturazione delle immagini e per una visione verticistica del potere, grazie ad una dinamica che proviene dall’alto delle volte e delle guglie gotiche.
L’eterea Blanchett, che avevamo lasciato poche settimane fa tutta droga, sesso & rock and roll in Io non sono qui di Todd Haynes (grande interprete del rocker, Bob Dylan) ora si offre in modo eccezionale e con tutta la sua fisicità adeguata per un ruolo che, come tutti gli altri, sempre fatto apposta per lei.
Giancarlo Visitilli

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