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La strada di Levi

Regia di Davide Ferrario vedi scheda film

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La recensione su La strada di Levi

di degoffro
8 stelle

Il 27 gennaio 1945 Primo Levi viene liberato da Auschwitz. In febbraio si mette in cammino e, dopo un lungo peregrinare durato oltre 8 mesi in giro per l'Europa, di cui ha riferito nel celebre libro "La tregua", Levi raggiunge la sua Torino. Nel 2005 il regista Davide Ferrario con Marco Belpoliti (curatore per Einaudi delle opere di Primo Levi) decide di ripercorrere la stessa strada, facendosi accompagnare dalle pagine dello scrittore ("i nostri occhi, le sue parole"), lette dalla calda voce di Umberto Orsini. Idea geniale, viaggio illuminante. Tra improvvisazioni, incontri inattesi, immagini di repertorio, cinegiornali dell'epoca, riprese in pellicola e in digitale. Si parte da Auschwitz con le immagini del ritorno al campo di concentramento nel 1984 di Levi, volto enigmatico e sofferto, occhi che trasmettono profondo dolore e tristezza. Si passa quindi dalla Polonia con la testimonianza del regista Andrzej Wajda sulla fabbrica di Nowa Huta, all'epoca considerata come un'autentica celebrazione degli operai del paese, veri e propri eroi perché il comunismo li voleva tali, ora invece privati di tutto. Il viaggio poi tocca l'Ucraina (la vicenda del cantante ucraino Igor Bilozir, ucciso da alcuni giovani russofoni perché si ostinava a cantare nella sua lingua, anziché in russo). La Bielorussia (l'episodio forse più ironico, costruito come un film muto con tanto di didascalie, con il divertente, quasi anacronistico personaggio del responsabile ideologico che controlla ogni ripresa della troupe e con la gente del posto che rivela un inatteso spirito di accoglienza e un'ammirevole disponibilità). Ancora l'Ucraina (la commovente e drammatica visita a Chernobyl e Pripyat, un tempo isola felice, nota come la città dei bambini, oggi città fantasma, abbandonata dopo la tragedia della centrale nucleare, talmente spettrale che vi è stato girato "Il ritorno dei morti viventi 4", il racconto di un padre che ha mandato il figlioletto in Italia dove è stato adottato). La Moldavia (le testimonianze di chi emigra, lasciando i figli e sostenendo che era meglio quando c'erano i kolchoz), la Romania (terra invasa dagli speculatori imprenditori italiani, illuminante l'imbarazzato silenzio delle lavoratrici rumene di una fabbrica italiana alla domanda su cosa ne pensino degli italiani), l'Ungheria (si visita un museo con statue di eroi del comunismo), la Germania. "Il fatto di sentire per la prima volta sotto i nostri piedi un lembo di Germania, sovrapponeva alla nostra stanchezza uno stato d'animo complesso. Ci sembrava di avere qualcosa da dire, qualcosa di enorme da dire ad ogni singolo tedesco. Sapevano loro di Auschwitz, della strage silenziosa e quotidiana? Sentivo il numero tatuato sul braccio stridere come una piaga. Errando per le vie di Monaco piene di macerie, mi sembrava di aggirarmi tra torme di debitori insolventi, come se ognuno mi dovesse qualcosa e rifiutasse di pagare. Ero fra loro, fra il popolo dei Signori. Mi sembrava che ognuno avrebbe dovuto interrogarci e ascoltare in umiltà il nostro racconto. Ma nessuno ci guardava negli occhi: erano sordi, ciechi e muti, asserragliati tra le loro rovine come in un fortilizio di sconoscenza voluta, ancora forti, ancora capaci di odio e disprezzo" così scriveva Levi e nel frattempo vediamo le immagini di un ritrovo di neo nazisti, ma anche la testimonianza di una donna che dichiara di essere stufa di farsi rinfacciare che "noi siamo colpevoli di tante cose". Fino all'arrivo in Italia con il toccante intervento di Mario Rigoni Stern che ricorda, tra l'altro, la grande amicizia con Primo Levi. Il ritratto dell'Europa post comunista che ne esce è contraddittorio, appassionante ed affascinante, quasi paradossale, anche ambiguo, sospeso tra modernità ed arretratezza. Diviso in otto capitoli, con un prologo a Ground Zero, perché l'11 settembre, a New York è finita la nostra tregua, per usare le parole con cui apre il suo film il regista Davide Ferrario, convinto che "talvolta il futuro si può scorgere attraverso le domande che il passato ha lasciato senza risposta." Ottimo l'accompagnamento musicale di Daniele Sepe in cui le musiche originali appositamente scritte per il film si alternano armoniosamente e con efficacia alle canzoni e sonorità dei posti attraversati durante il viaggio. Un'opera preziosa, essenziale ed arricchente, più intensa, ispirata ed autentica del piatto film che Francesco Rosi ha tratto da "La tregua". Solo a tratti leggermente didascalica, con l'inevitabile discontinuità dei film divisi in episodi (alcuni più pregnanti, altri meno). Certo non tutti i parallelismi sono chiari e/o necessari, a volte si avverte una leggera forzatura. Comunque qualsiasi film dia spazio a giganti come Primo Levi, Mario Rigoni Stern, Andrzej Wajda ed Emilio Lussu (si accenna infatti anche a "Un anno sull'altipiano"), sforzandosi di favorirne la conoscenza e l'approfondimento, merita di essere visto e amato. A prescindere. Anche perché alcune acute riflessioni di Levi sono folgoranti e rivelano, se ce n'era bisogno, la sua incisiva lucidità e la sua straordinaria capacità nel vedere oltre il suo tempo. "Il mondo ci sembra avanzare verso una qualche rovina e ci limitiamo a sperare che l'avanzata sia lenta", scrive Levi. Le sue parole vengono lette mentre scorrono le immagini angosciose di Chernobyl: una valutazione che stordisce nella sua semplicità e durezza, nella sua spaventosa e terribile verità e che si adatta perfettamente anche ai nostri tristi e confusi giorni. Quanto sarebbe bello riuscire a non lasciarsi impietrire dalla lenta nevicata dei giorni! In Concorso alla prima Festa del Cinema di Roma. Presentato altresì al Festival di Toronto. Nominato ai Nastri d'argento quale miglior documentario (ha vinto "L'orchestra di Piazza Vittorio" di Agostino Ferrente). Distribuito fugacemente in sala nel gennaio 2007 dalla 01 (l'anno precedente Rai Cinema aveva riservato un analogo, brutale, trattamento a "Volevo solo vivere" di Calopresti, mi chiedo che senso abbia produrre opere del genere per poi mandarle allo sbaraglio, senza alcuna convinzione, pubblicità e sostegno), ha dovuto per di più subire la spietata concorrenza del ciclone "Manuale d'amore 2" con la coppia Bellucci/Scamarcio. Molto consigliata la lettura del libro "La strada di Levi - Immagini e parole dal film di Davide Ferrario e Marco Belpoliti" a cura di Andrea Cortellessa (Edizioni Marsilio). Quasi un commento al film con diverse curiosità come per esempio il fatto che Ferrario avesse inizialmente pensato, per il prologo newyorkese in cui si sente la sua voce, a Philip Roth e poi a Woody Allen, perché in "Crimini e misfatti" c'è un personaggio di nome Levy che, tra l'altro alla fine si suicida e perché Woody Allen è uno degli esponenti più rappresentativi di New York. Il regista attore però ha declinato molto cortesemente l'invito a causa di una sua conoscenza solo superficiale di Levi. Il libro è inoltre arricchito da due preziose interviste. Una al professore di storia Giorgio Mastrorocco che, tra le altre cose, parla delle sue personali difficoltà nell'accompagnare classi di studenti liceali in gita su quei posti di dolore, lasciandosi andare ad interessanti riflessioni sullo "scandalo del turismo scolastico della Shoah". L'altra intervista è invece a Primo Levi in occasione del suo ritorno ad Auschwitz. Significativa in particolar modo un'affermazione dello scrittore, specialmente alla luce delle recenti polemiche sui vescovi negazionisti: "chi nega Auschwitz è quello stesso che sarebbe pronto a rifarlo!"
Voto: 7+

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