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La sconosciuta

Regia di Giuseppe Tornatore vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su La sconosciuta

di giancarlo visitilli
8 stelle

“Si può avere un sogno vero, in mezzo a tanti incubi?”. Dall’inizio alla fine, per la sconosciuta, questo è l’interrogativo ricorrente, anch’esso assillante e onnipresente, proprio come quegli incubi durante i quali ricorda la sua triste storia. Infatti, quella della bella ucraina Irena, è una tristissima storia di sfruttamento e di violenze, subite per anni da parte di un uomo che nella sua animalità mette in gioco tutta la violenza e la crudeltà di cui non pochi esseri (in)umani sono capaci. Tanti i tentativi di Irena di cambiare vita, dalla ricerca disperata di lavoro come domestica, a quello di badante di una piccola bambina, Tea, affetta da una malattia rarissima.
Pur riconoscendo una certa sovraccarica nella trama, l’ultima fatica registica di Giuseppe Tornatore è una grande lezione di cinema italiano, non solo per i mirabili e sinuosi movimenti di macchina, per l’uso ardito degli obiettivi, quanto per la capacità di rendere oscuro anche ciò che eccelle per la sua naturale lucentezza: è un mondo di contrasti quello della bella Irena e il mistero del suo dolore; del bene e del male; del mondo adulto e quello ancora bambino; della difesa e dell’impossibilità dell’evitamento del dolore; dell’azione e della reazione.
In questo nuovo lavoro del regista di Bagheria, a quasi sei anni dal brutto Malèna, ritroviamo tutta la passione del cinefilo colto, e non solo, che segnala la sua predilezione per scrittori come il Pirandello di “L’esclusa” e Marquez di “Cent’anni di solitudine”, e per registi come Kubrick di Eyes wide shut, con i bellissimi nudi di donne in maschere iniziali; le ‘sbirciatine’ dalle due finestre, al modo dell’Hitchcock di La finestra sul cortile; alcuni dialoghi molto simili a quelli di Parla con lei di Almodovar; fino a farci ripensare ad alcune scene di Le chiavi di casa di Gianni Amelio: se lì avevamo il papà che, a tutti i costi, voleva evitare la sofferenza a suo figlio, anche durante i necessari esercizi di riabilitazione, qui avviene il contrario per una bambina che si vuol aiutare a cadere e evitare che si faccia male. Perché, sia la bambina che la protagonista del film, hanno la stessa malattia, sebbene essa sia vissuta in modo differente: la paura di cadere e di non sapersi più rialzare, allo stesso modo di chi è caduta e ormai non si può più rialzare. Irena, la bambina e la donna in carrozzella sono l’emblema nel film di una situazione in cui lo spaesamento è condizione di caduta. E’ interessante anche che tale ‘caduta’ venga descritta in quella parte d’Italia ch’è il Nord Est, laddove i redditi sono alti e i contrasti con realtà meno felici appaiono maggiormente incisivi, e non a causa di una finanziaria che anch’essa rimane ‘sconosciuta’ ancora a molti. Tutto ciò contrasta con la solita passione sudista del Tornatore isolano, e la sua necessità di farci quasi assaporare il caldo sapore della salsa e del pomodoro, che come nel caso dei grandi registi, a noi piace pensare come un omaggio alla sua terra d’origine.
Straordinaria l’interpretazione della bella Ksenia Rappoport, apprezzata attrice teatrale russa e volto ignoto al pubblico italiano. Insieme a lei un cast di attori noti, da Favino, Gerini, Degli Esposti, Buy, a Molina. Anche le musiche, sebbene in alcuni casi ridondanti, rivelano come sempre la maestria di Ennio Morricone.
Insomma, un film ben fatto, capace di ricordarci quel sogno iniziale di Tornatore, laddove il “paradiso” è sinonimo di un cinema che deve ancora venire, sempre prossimo a crescere.
Giancarlo Visitilli

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