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Sunshine

Regia di Danny Boyle vedi scheda film

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Paul Hackett

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La recensione su Sunshine

di Paul Hackett
8 stelle

Danny Boyle è un personaggio davvero destabilizzante: in quasi vent'anni il regista inglese si è cimentato nei più disparati generi cinematografici, alternando grandi film ("28 giorni dopo", "The Millionaire"), opere decisamente meno riuscite ("Una vita esagerata", "The Beach") e pellicole di culto un po' sopravvalutate ("Trainspotting") ma sempre nel segno di una indiscutibile crescita artistica che lo ha portato, nell'ultimo decennio, a costruire una rara potenza espressiva della quale è figlio anche questo "Sunshine". Il film di Danny Boyle, per l'intera prima parte, è un vero capolavoro: un saggio affascinante e poetico di fantascienza esistenziale ("sociologica", si sarebbe detto un tempo, quando opere del genere uscivano dall'indimenticabile penna di scrittori come Ray Bradbury o Robert Sheckley) che, pur non raccontando nulla di particolarmente originale, convince ed avvince per l'elegante regia, l'ottima interpretazione di un cast asciutto ed efficace (a svettare su tutti il come sempre bravissimo Cillian Murphy, le uniche perplessità le riserverei al non eccelso Chris Evans) e l'abbagliante (è proprio il caso di dirlo) potenza di bellissimi effetti speciali, assolutamente credibili e in grado di comunicare l'angoscia dell'impressionante contrasto tra l'immensa luce del sole, divinità primigenia, fattore di vita come di morte, e la paradossale e sconvolgente claustrofobia delle infinite ed oscure profondità dell'universo. Alcune scene sono davvero meravigliose e credo che mi rimarranno nel cuore per molto, moltissimo, tempo. Peccato che presupposti tanto entusiasmanti tendano a naufragare in una deludente seconda parte, che prende le forme (ahimé, piuttosto banali) di un SF-horror, per di più non particolarmente originale, prima di risollevarsi leggermente per un finale che recupera parzialmente la poesia e l'intensità della prima ora. Il danno, però è ormai compiuto e l'occasione sprecata, trasformando un potenziale capolavoro in un ben più generico "buon film" che, tradotto in stellette come da "filosofia FilmTv", attesta il giudizio sulle proverbiali quattro stelle.

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