Regia di Giancarlo Santi vedi scheda film
É uno dei titoli più classici del genere. Nonostante appaia in un momento in cui il genere inizia a decadere il film resta un bell’esempio di western duro e puro, che concede poco alla commedia e allo stereotipo americano fatto di retoriche. Dichiaratamente leoniano, anche perchè il regista Giancarlo Santi ne era stato collaboratore a addirittura avrebbe dovuto dirigere “Giù la Testa... Coglione!”, il film è tutto costruito su caratteri fumettistici inseriti in un altrettanto immaginifico, iconograficamente mitico e fumettistico scenario western già di suo evocativo. Non solo, di Leone riprende l’importanza dei silenzi e della colonna sonora. Dilata i tempi e crea il terreno per il climax finale, o per i climax parziali come quello in cui Peter O’Brien, ovvero Alberto Dentice, mostra il carico di morti uccisi dal più folle dei fratelli Saxon in un momento di pura follia borghese. Questo terreno ideale per la creazione dell’attesa e del climax in conclusione, è l’obiettivo principale di una regia tutta votata alla spettacolarità del mito. C’è azione, è vero, ma molta di meno di quella che comunemente intendiamo spettacolare. Purtoppo il film ha la pecca di perdersi ed incasinarsi nella trama, nei colpi di scena. Lo sviluppo ad enigma, tale è scoprire chi è l’assassino del “Patriarca” Saxon, rallenta di molto la fluidità del ritmo, e confonde l’attenzione dello spettatore. Ciò non toglie che i flashback dove il “Patriarca” viene ucciso alla stazione sono suggestivamente dei grandi inserti mitici che, tra fumo e sagome nere, portano il film a livelli di tragedia ineluttabile. Quella silohuette nera che esce dal fumo del treno in una notte silenziosa è una delle idee visive più belle del film e di tanti altri spaghetti-western. Quando poi si scopre la verità tutto acquista una dimensione ancora più estraniante, spiazzante, che arrangiata con i canoni della realtà sensibile non lesina in lirismo epico come l’ultimo grande duello tra i grandi corrales vuoti in cui si affronteranno Van Cleef e i tre fratelli Saxon.
La pellicola è girata bene, non si può negare. Punto debole è l’intrico giallo che poco si adatta ad una storia, seppur esistenzialista, di pistoleri e cacciatori di taglie. Tutta la prima scena alla stazione di posta è storica, anche se il linguagio di attesa adottato dal regista non ha proprio lo stesso effetto di quello leoniano. Ma preso a sè, è un gran bel pezzo di narrazione, che vive e si regge di tutti gli elementi mitici utili per fare un western. Ma soprattutto resta nel cuore Van Cleef quando si gira e ne secca tre. Stupendo. Così come il già citato passaggio in cui O’Brien svela i morti ammazzati: un ulteriore pezzo d’antologia.
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