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Grandi speranze

Regia di David Lean vedi scheda film

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La recensione su Grandi speranze

di sasso67
8 stelle

Tratto dall'omonimo romanzo di Dickens, il film di David Lean coniuga gli aspetti gotici (favoloso l'ossianico inizio nel cimitero di campagna) e le esigenze morali del romanzo vittoriano con le "grandi speranze" dell'Inghilterra appena uscita da una guerra durissima quanto vittoriosa. La vicenda del giovane Pip, orfano, allevato dal cognato fabbro e poi beneficiato da un misterioso benefattore che vuole farne un gentiluomo, rispecchia molte trame analoghe del romanzo ottocentesco, dagli stessi lavori più famosi di Dickens ("David Copperfield" e "Oliver Twist", che è un orfanello come Pip) alle vicende di successo e miseria di Jean Valjean dei "Miserabili" di Victor Hugo. Quello che con termine odierno chiameremmo il "buonismo" di certi personaggi a momenti infastidisce un po' (ammazza quanto sono buoni il fabbro Joe e la sua nuova mogliettina Biddy, tipici rappresentanti della buona gente della campagna inglese), e non parlo dell'iniziale e apparente bontà della signora Havisham, il cui umanitarismo paternalistico è rappresentativo di un sentimento molto diffuso in epoca vittoriana, ma soprattutto quello del forzato Magwitch che, pur essendo un criminale incallito, coltiva un animo buono e generoso verso chi gli si dimostra leale (e Dickens, altrettanto generosamente, gli risparmia l'onta del capestro). Magwitch è uno dei personaggi più innovativi del romanzo dickensiano, con quel suo aspetto ripugnante e il suo passato a dir poco burrascoso, ma con altrettanto nobile animo. I meriti maggiori del film sono comunque quello di non indulgere mai al patetico, anche con un pizzico d'ironia (il pugilato tra i due giovani Pip e Herbert, l'incontro con il vecchio padre del signor Wemmick) e di saper governare gli aspetti gotici senza indulgere a un ingiustificato orrore. E, mentre si vede con piacere il giovane Alec Guinness in una parte di fianco (Mills mi pare troppo vecchio per la parte del protagonista), si deve apprezzare l'eccellente fotografia di Guy Green, che ricorda quella di due maestri quali l'ejzenstejniano Eduard Tissé e il buñueliano Gabriel Figueroa.

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