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Sesso e filosofia

Regia di Mohsen Makhmalbaf vedi scheda film

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La recensione su Sesso e filosofia

di giancarlo visitilli
8 stelle

“La stagione dell’amore viene e va… i desideri non invecchiano quasi mai, con l’età”. Non ci sarebbero parole migliori per recensire l’ennesimo capolavoro di Makhmalbaf che quelle di questa canzone-poesia di Franco Battiato. Ancora una volta il capostipite di una famiglia di addetti alla Settima arte ci stordisce per la profondità del racconto e per la straordinaria capacità di dipingere inquadrature come tele ad olio, tutte rappresentanti della dissertazione sull’amore.
Il pretesto del film è la storia di un insegnante di danza, John, che decide di festeggiare in maniera stravagante il suo cinquantesimo compleanno. Innanzitutto si prepara da sé il “dolce” per festeggiare: non una torta con candeline, ma il cruscotto della sua auto, guarnito con 50 candeline che danno il senso non solo del desiderio ogni volta di illuminare gli anfratti vitali di una vita tutta ancora da spendere, ma che, poste all’interno di un’auto, danno il giusto senso del viaggio. Questa volta non a Kandhar, ma per le strade, sebbene si tratti ancora di un atto di ribellione, come nel precedente film. Anche qui la protesta da solitaria, accomuna, alla fine, diverse persone, comprese le quattro amanti del maestro, tutte convocate per danzare il senso misterioso dell’amore.
Guardando Sesso e filosofia (l’Italietta meriterebbe un Oscar per il peggior titolo dato ad un film talmente bello) non si può fare a meno di ricordare L’uomo che amava le donne (1977) di Truffaut, sebbene Makhmalbaf è capace, come sempre, di aggiungervi qualcosa che appartiene solo al cinema di quella parte di mondo che forse solo per poco tempo vedremo nella sua bellezza naturale, visti gli ultimi impegni internazionali dei guerrafondai.
Gli iraniani non possono fare a meno di raccontare il Tempo. Il loro Tempo, che trascorre ancora all’unisono con il battito del cuore, per cui é poesia, vita, solitudine, ma anche morte (John invidia le farfalle che vivono molto più pienamente, anche se solo per un giorno: non pensano a niente, volano e baciano i petali). Non manca anche l’erotismo, anzi l’Eros, visto che nel primo caso parliamo di un qualcosa (abbastanza scontato e volgare) a cui ci hanno abituati anche grandi registi come Antonioni, Soderbergh e Wong Kar-wai, nel secondo caso parliamo di un Eros che è assolutamente straordinario ed intenso per il modo in cui lo si vive e lo si racconta (l’amplesso delle due mani degli amanti, che muovendosi, si toccano a lungo è il momento più alto del film) di contro alla frigidità della comunicazione (John e una sua donna, in macchina, con un vetro divisorio in mezzo, comunicano tramite cellulari). Quanto dista da noi occidentali l’idea che la danza possa essere uno dei linguaggi con cui comunicare desiderio e passione d’amore. Sarà dettata da ciò la scelta di “Sesso e filosofia” (titolo degno di un b-movie con Banfi e Vitali)?
Interessantissima anche la lezione di geografia dei sentimenti a cui sottopone questo film: lo sguardo dell’autore sul Tajikistan e la dimensione della bellezza femminile che Makhmalbaf evoca attraverso le quattro co-protagoniste, attrici dai volti inusuali, così lontani dagli stereotipi (stile Marini-Bellucci-Cuccinotta-Barbie) di tipo occidentale.
L’antinarrativo e l’antinaturalistico la fanno da padroni per tutta la durata del film. L’inseguimento della macchina da presa di un ombrello rosso, che ripara-separa John e le fidanzate, nelle riprese in esterno sono quanto di più lontano si possa immaginare dal cinema italiano, per fare solo un esempio di sguardo “diverso” dal comune.
Alla fine, ciò che resta anche allo spettatore è l’amara coscienza della condanna naturale di ogni uomo alla solitudine e la consapevolezza di aver vissuto meno di una farfalla. Giusto il tempo di spegnere tutte le candele, tranne una. L’ultima, quella che ci ricorda quanto siamo soli.

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