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I fantasmi del cappellaio

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su I fantasmi del cappellaio

di munnyedwards
7 stelle

 

Tutto sembra immutato nella vita di un piccolo paese francese, la pioggia è una costante ormai ben armonizzata nell’insieme ordinario e multiforme, le persone, i luoghi, l’iter quotidiano sempre uguale a se stesso, un microcosmo di variegata umanità che appare quasi fuori dal mondo.

Persino la presenza di un pericoloso serial killer sembra turbare non piu di tanto la vita degli abitanti, la polizia gli da la caccia, il cronista del piccolo giornale scrive i suoi articoli e le personalità piu infuenti del paese (il sindaco, il dottore, l’ispettore) ne discutono tutte le sere al bar tra una partita a carte e un bicchiere di vino.

Eppure sei donne di mezza età sono gia morte strangolate e il killer si diverte a mandare lettere anonime dove annuncia un ultimo delitto, il settimo della serie, l’unica persona che sembra coinvolta da tutto questo è il sarto Kachoudas (Aznavour), una personalità mite che porta avanti la sua bottega in modo dimesso, non integrato nella comunità che conta che quasi non lo considera.

Ma il punto è un altro, Kachoudas conosce molto bene l’assassino, lo ha persino visto commettere uno dei suoi delitti, si tratta del cappellaio Labbè (Serrault) che vive proprio di fronte a casa sua insieme ad una moglie invalida che non esce da 15 anni.

Eppure il modesto sarto non denuncia il borghese cappellaio, lo segue di notte nei suoi giri al bar dove si parla del killer, lo pedina per le stradine deserte del paese, irriso dalla stesso Labbè che con fare clownesco lo prende in giro, un rapporto di involontaria complicità che nel corso del film assume contorni sempre piu ambigui.

 

 

I fantasmi del cappellaio (Les fantômes du chapelie) è all’apparenza un giallo classico, tratto da un romanzo di Georges Simenon scritto nel ’48 viene adattato e diretto per lo schermo dallo stesso Claude Chabrol nell’82, in realtà la componente investigativa e di indagine ricopre nel plot un ruolo assai marginale, l’identità dell’assassino è subito rivelata e non è su questo che il regista costruisce il suo film.

Chabrol è decisamente molto piu interessato ai personaggi e al contesto sociale in cui si muovono, il paese isolato, la vita monotona, l’ipocrisa dominante della classe “dirigente” e soprattutto le due figure principali, l’armeno Kachoudas che dalla vita non chiede nulla se non la possibilità di poter continuare a fare il suo modesto lavoro (questo dice al killer in piu di un occasione) e il cappellaio Labbè, personalità contorta, equilibrata e folle allo stesso tempo, metodico e giocherellone, ma sempre piu travolto dalla sua opera criminale.

Un giallo dell’anima quindi, uno scavo rigoroso di figure complesse che affascinano per la loro sfuggente natura...perche il sarto non denuncia il cappellaio? Perche lo segue di notte sotto la pioggia fino ad ammalarsi? Perche Labbè, che inizialmente irrideva il povero sarto, pian piano ne diventa quasi un confidente, un amico?

 

 

Queste sono le domande che si pone lo spettatore, affascinato dalla regia elegante di Chabrol che fin dall’incipit, con quella camera che lentamente si avvicina ad una finestra, non può che ricordare reminescenze Hitchcockiane, messe poi ancora piu in risalto con i riferimenti a Psyco e La finestra sul cortile, ma se vogliamo anche a Frenzy (film dove l’identità dell’assassino è subito evidenziata).

Il film ha uno sviluppo lento ma intenso, nella prima parte si dipana lo strano rapporto di complicità tra Kachoudas e Labbè, nella seconda con il puntuale inserimento di mirati flashback ci concentriamo sulla degenerata personalità del cappellaio, succube di una moglie invalida che lo maltratta e lo accusa di andare a donne (probabilmnete a ragione), attraverso i suoi ricordi ripercorriamo la genesi del processo criminale, nato da un gesto incontrollato ma poi accuratamente pianificato nei successivi delitti.

Labbè viene straordinariamente interpretato da Michel Serrault, l’attore in italia è conosciuto per la trilogia de Il Vizietto ma qui fornisce una prova maiuscola fatta di smorfie, tic, sguardi persi nel vuoto e improvvisi scatti d’ira, Chabrol si affida completamente a lui costruendo intorno al suo personaggio un mondo fatto di illusioni spacciate per realtà, mostrando un crescendo di follia che esplode poi nel liberatorio finale.

 

 

Messa in scena elegante e rigorosa, impeccabile nel tracciare un quadro criminale sfuggente fatto di bassezze morali e solitudine, il film di Chabrol sfrutta il genere per ampliare gli orizzonti del racconto mettendo al centro della vicenda figure caratteristiche e originali, persino affascinanti nella loro essenza malevola, personaggi diabolici e fragili (in)volontari protagonisti di un mondo triste e malinconico, fatto di bugie, ipocrisia e naturali debolezze.

Voto: 7.5

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