Regia di Manetti Bros. vedi scheda film
Perché tre rapinatori romani dovrebbero mettere una bomba in un ufficio? Perché uno di loro resta bloccato in ascensore insieme a due sconosciuti e il complice all’esterno non fa nulla per aiutarlo? Perché la morte del loro capo è così ammantata di mistero? Piano 17 dei fratelli Manetti, un film “miracle budget” (ovvero finanziato con soldi raccolti miracolosamente) con tutti gli attori che lavorano gratis, è il primo esempio compiuto di un nuovo filone: il noiresco. Un misto tra il glorioso poliziottesco anni ‘70 e il noir italian-mediterraneo che va tanto di moda adesso, l’estetica caciarona all’ammatriciana e la tendenza di genere di cui si parla nei salotti buoni della cinefilia. I Manetti sono bravi, tecnicamente preparati tanto da non far sembrare il film una produzione alla SperinDio, a causa della povertà di mezzi. E hanno il merito di saper gestire benissimo attori diversi. A parte Antonino Iuorio, perfetto per la parte del gangster ossessionato dalla stazza, fa piacere scoprire un Massimo Ghini convinto boss e persino un Enrico Silvestrin convincente (la scena tra i due, quando il primo scarica il secondo, è tesa come una corda di violino, segno che funziona). Purtroppo l’anima cafona ha qualche volta il sopravvento, specie nei dialoghi in ascensore, nello scivolamento sul grottesco, nell’implausibilità di certe soluzioni (tipo il modo per uscire dalla cabina: non potevano pensarci prima?!?). Comunque, da difendere.
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