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Paura della paura

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Paura della paura

di MarioC
7 stelle

Fassbinder ascolta e suona le campane della disperazione. Opera fatta di lunghissimi tempi morti e di morte interiore senza sosta. L'ennesima circumnavigazione di RFW alla ricerca del senso del sé, e dei perché. Senza risposta, naturalmente: è questo che, insieme a tanto altro, fa grande il suo cinema.

L’insostenibile ed inspiegabile pesantezza dell’essere secondo Fassbinder. Le cui figure femminili costituiscono un (mobilissimo) museo delle cere in cui gli spettatori di ogni sesso non possono non perdersi. Pare di toccarli e viverli, le urla e i singhiozzi di quella infelicità che è monade attratta dal vuoto: insensata e spontanea, antistorica ed antirazionale, probabilmente borghese per estrazione, sicuramente umana per definizione.

 

 

Paura della paura è, come gran parte dei Fassbinder primissima o prima maniera, un film che fa della insostenibilità la sua cifra stilistica e morale. Stretta tra quattro mura, siano quelle di una casa, neanche a dirlo, della media borghesia tedesca, o quelle di una farmacia che diventa alcova ed ulteriore prato fiorito di disperazione, la donna (questa donna) di Fassbinder compie un viaggio nei meandri di stessa, per uscirne scarnificata, impura, impaurita, infine pericolosamente normalizzata.

Intorno figurine che paiono quelle di un presepe di cartapesta, tanta è la loro (presa di) distanza dal malessere: un marito che studia formule matematiche, notoriamente incapaci di trovare la chiave algebrica della felicità, madre e sorella che consigliano il mangiar sano mentre insanamente giudicano, un amante che si accontenta di godere di un corpo florido alieno da una mente che forse nemmeno ne ascolta le parole di seduzione. E poi quello che il nostro sentire comune definirebbe con comodità un malato di mente: l’unico a sapere poiché, per vie misteriose, i simili si riconoscono. E quando un simile decide di andarsene, l’altro si sente un po’ più solo; dunque si smarrisce e, così, si salva. E’ quanto ci dice l’ultimo sguardo della magnifica, monumentale Margit Carstensen (presente insieme ad altri feticci di RFW: Kurt Raab, Ingrid Caven e l’inquietante Brigitte Mira): il constatare la pienezza della solitudine è forse la panacea alla tristezza dei pensieri troppo affollati.

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