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La contessa bianca

Regia di James Ivory vedi scheda film

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La recensione su La contessa bianca

di kotrab
4 stelle

James Frances Ivory e il suo compagno e produttore Ismail Merchant (sua ultima collaborazione) si affidano ancora alla scrittura di Kazuo Ishiguro, dopo Quel che resta del giorno, uno dei loro film più riusciti, e con La contessa bianca tentano un'altra incursione nello scontro tra culture, in questo caso una Shanghai còlta in un periodo storico cruciale, una città e una nazione pregne di popoli diversi e alle prese con l'invasione giapponese.

I problemi principali che rendono il film inferiore alle ambizioni sono la sceneggiatura debole, una visione del contesto che non approfondisce né gli sviluppi storico-sociali né i rapporti umani dei personaggi, una narrazione slentata e senza polso, uno sguardo superficiale sia nei confronti della tematica che della stessa eleganza formale scenografica e oggettistica, diventata maniera che non seduce, una fotografia certo curata (di Christopher Doyle) ma che non offre sussulti all'uniformità, una carenza emotiva che dura esattamente almeno un'ora e trenta minuti, dato che qualcosina si smuove solo nell'ultima parte e tuttavia in modo ancora del tutto approssimativo e non bastano la certosina ricostruzione cittadina o la metaforica alternanza tra la miniatura (il locale da ballo) che dovrebbe proteggere i destini dei protagonisti e l'affresco della Storia che inconbe a sfondare le porte e invadere le loro vite riaprendo le ferite del passato.

Nel sottotesto mi è sembrato di percepire anche qualche allusione sternberghiana (è solo un'impressione?), dall'uomo che parla in francese alla prostituta N. Richardson sul tram (invece del treno come in Shanghai Express) al locale saturo di clienti, music-hall e cabaret come in Marocco.

La recitazione è più che apprezzabile (in particolare R. Fiennes) e il film non è esattamente brutto, è solo senz'anima e mi dispiace.

La colonna sonora

Contributo stucchevole e anonimo anche da parte di Richard Robbins.

Tra quelle d'epoca c'è almeno la bella sorpresa di una deliziosissima canzone (di cui però non saprei al momento indicare esattamente il titolo) che ricorre anche nel greenawayano I racconti del cuscino.

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