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Vita da bohème

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Vita da bohème

di FABIO1971
8 stelle

"Per arrivare alla meta, che è perfettamente determinata, tutte le vie sono buone, ed i 'bohèmes' sanno mettere a profitto persino gli accidenti della strada. Pioggia o polvere, ombra o sole, nulla arresta questi arditi avventurieri, i cui vizi sono scusati da altrettante virtù. Lo spirito, sempre teso dalla loro ambizione, batte la carica e li spinge all'assalto dell'avvenire, senza tregua, in lotta con la necessità: la loro invenzione, che marcia sempre con la miccia accesa, fa saltare qualunque ostacolo sorto a trattenerli. La loro esistenza giornaliera è un'opera di genio, un problema quotidiano cui pervengono sempre a risolvere con l'aiuto d'audaci matematiche. Essi si farebbero prestar denaro da Arpagone e troverebbero tartufi fra i capelli di Medusa. Se fa d'uopo, sanno praticare anche l'astinenza con tutta la virtù di un anacoreta, ma se nelle loro mani cade un po' di fortuna, voi li vedete tosto cavalcare sulle più rovinose fantasie, amando le donne più belle e più giovani, bevendo i vini migliori e più vecchi e non trovando mai sufficienti finestre per gettar via il denaro. Poi, quando l'ultimo scudo è morto e sepolto, ritornano a desinare alla tavola rotonda dell'azzardo, ove la loro posata è sempre pronta, e preceduti da una muta di astuzie, cacciando in tutte le industrie che avvicinano l'arte, inseguono dal mattino alla sera quell'animale feroce che si chiama pezzo da cinque lire. I 'bohèmes' sanno tutto e vanno ovunque, secondo che hanno scarpe a vernice o rotte. Un giorno si veggono appoggiati al camino di una sala del gran mondo e l'indomani a tavola sotto il pergolato delle osterie 'dansantes'. Non sanno fare dieci passi sul 'boulevard' senza incontrare un amico, e trenta senza vedere (ovunque) un creditore. La 'bohème' parla nel suo seno un linguaggio particolare, tolto a prestito dalle discussioni artistiche, dal gergo delle scene e dai discorsi dei gabinetti giornalistici. Tutti gli eclettismi di stile si danno appuntamento in questo idioma strano, ove le frasi dell'Apocalisse toccano il 'coq-à-l'ane'; ove la rusticità del motto popolare s'allea a periodi stravaganti; ove il paradosso, questo Beniamino della letteratura moderna, tratta la ragione come trattasi Cassandra nelle pantomime; ove l'ironia ha la violenza degli acidi più pronti e la precisione di quei tiratori che colgono nel segno ad occhi bendati. Gergo intelligente, benchè inintelligibile per tutti quelli che non ne hanno la chiave e la cui audacia sorpassa quella delle lingue più libere. Il vocabolario della 'bohème' è l'inferno della retorica e il paradiso del neologismo. Tale, in breve, è la vita della 'bohème', mal conosciuta dai puritani del mondo, mal trattata dai puritani dell'arte, insultata da tutte le mediocrità paurose e gelose, che non hanno abbastanza clamori, menzogne e calunnie per soffocare la voce e il nome di quelli che arrivano per questo vestibolo alla fama, associando l'audacia al talento. Vita di pazienza e di coraggio, ove non si può lottare se non munito di una forte corazza di indifferenza contro gli imbecilli e gli invidiosi; ove non si deve (per evitare gli inciampi) abbandonare per un sol momento l'orgoglio di se stesso, il quale serve per bastone d'appoggio. Vita seducente e terribile, che novera i suoi vincitori e martiri, ed in cui non si deve entrare se non rassegnandosi, sin dal principio, a subire l'implacabile legge del 'vae victis'!".
[da Henri Murger - La Bohème o gli eroi della miseria - Salani]

Parigi: Marcel (André Wilms), scrittore, ha appena completato la sua ultima, monumentale fatica, Il vendicatore, un dramma in 21 parti che il suo editore gli ha già intimato di sforbiciare abbondantemente. Come se non bastasse, senza un soldo, Marcel è stato anche sfrattato dal suo appartamento: troppi gli affitti arretrati da saldare, meglio filare via. E per il padrone di casa soltanto una lettera insolente: "Egregio signor Bernard, sono in un'incresciosa situazione: non posso attenermi all'usanza secondo cui bisogna pagare l'affitto, soprattutto quando è dovuto. Fino a stamattina pensavo di poterle pagare gli arretrati: pia illusione. Mentre mi cullavo sul materasso di una fiducia mal riposta, la malasorte, 'ananke' in greco, ha distrutto le mie speranze: le consistenti entrate che attendevo non mi sono pervenute, ma giorni migliori verranno per la nostra amata Francia e per me... E quando arriveranno, metterò le ali ai piedi e glielo annuncerò. E verrò a recuperare i preziosi effetti personali rimasti lì. Li affido a lei e alla legge, che le vieta di venderli prima di un anno: sino ad allora può disporre dell'appartamento che mi ha ospitato". Nonostante tutto, però, Marcel non sembra particolarmente disperato per la piega che ha preso la sua vita: anzi, ha già due nuovi amici, il pittore albanese Rodolfo (Matti Pellonpää), conosciuto in un ristorante e sempre accompagnato dal suo cane Baudelaire, e il musicista Schaunard (Kari Väänänen), da tempo al lavoro su una nuova composizione (L'influenza del blu nell'arte), con cui trascorre le sue serate ad alto tasso alcolico. Poi, finalmente, un colpo di fortuna, prontamente annunciato da Marcel ai suoi amici:
"Mi ha convocato Gassot per il lancio di un giornale, La ceinture d'Iris: vuole nominarmi caporedattore, ma se ci vado vestito così, cambierà idea".
"Non potresti accettare l'offerta neanche vestito da granduca, quel Gassot è un simpatizzante di destra: non puoi mangiare un pane intinto nel sudore del popolo".
"Gassot in parlamento fa parte della corrente di sinistra della destra: ha votato per la pensione alle vedove e conosce molti personaggi influenti. Potrebbero commissionare a te qualche composizione e a Rodolfo qualche ritratto".
"Questo cambia tutto. A che ora è l'appuntamento?"
.
Ottenuto l'incarico (e 1500 franchi di anticipo), Marcel illustra a Rodolfo e a Schaunard i suoi progetti:
"Tolte le difficoltà materiali della vita, voglio lavorare seriamente. Voglio vestirmi decentemente, così gli atelier mi prenderanno sul serio. Se volete, vi farò assumere come procacciatori di pubblicità, purchè, fino ad allora, la più rigorosa parsimonia ispiri la vostra vita".
E non è ancora finita, perchè nella loro vita sta per entrare anche l'amore: mentre Marcel, infatti, flirta con la sua nuova collega Musette (Christine Murillo), Rodolfo ha conosciuto la tabaccaia Mimi (Evelyne Didi), con la quale ha avviato una romantica relazione e con cui condivide pasti (un brodo caldo preparato con l'osso di Baudelaire), tribolazioni e calore umano. Rodolfo, però, vive in Francia da tre anni senza visto di ingresso sul passaporto né permesso di soggiorno: logico, quindi, che appena abbia la sventura di imbattersi nella polizia (nel caso specifico a causa di un conto da saldare al ristorante), finisca col mettersi nei guai. E anche piuttosto seri: decreto di espulsione immediata, con una pena di sei mesi di reclusione se verrà trovato ancora in territorio francese senza documenti. Non gli resta che salutare Marcel, a cui affida Baudelaire e i suoi quadri, e avvertire Mimi: poi, senza esserle riuscito a parlare, parte per Tirana. Tornerà in primavera, valicando la frontiera nascosto nel bagagliaio di un'automobile: ritrova i suoi amici e riabbraccia, finalmente, Mimi, che per lui non esita minimamente a piantare in asso il suo nuovo fidanzato. La compagnia di amici si è riformata, ma ben presto le ristrettezze e le difficoltà che ne avevano condizionato l'esistenza si ripropongono prepotentemente: per i soldi per l'affitto, intanto, basterebbe che Rodolfo riuscisse a vendere il suo ultimo quadro, La traversata del Mar Rosso: per fortuna che un suo facoltoso cliente, il cavaliere Blancheron (Jean-Pierre Léaud), ha talmente apprezzato il genio della sua arte da voler diventare un collezionista e gli offre 1500 franchi (e due biglietti per l'opera...). Poi, il dramma: in autunno, infatti, arriva la notizia della grave malattia di Mimi, la primavera successiva la sua morte improvvisa...

Il decimo lungometraggio (premio della stampa internazionale al Festival di Berlino) nella folgorante filmografia di Aki Kaurismäki, qui alle prese con Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger, la celebre raccolta di racconti, pubblicati sulla rivista letteraria Le Corsaire tra il marzo del 1845 e il 1849 e poi trasformati in romanzo a gennaio del 1851 (edito in Italia da Salani con il titolo La Bohème o gli eroi della miseria), che Puccini immortalerà nella sua Bohème. La lettura del regista finlandese ne segue percorsi narrativi e suggestioni puntando sull'astrazione simbolica, scarnificando le pulsioni tragiche del melodramma nell'esaltazione dello spleen baudelairiano, tra humour nero e fatalismo, e immergendo i personaggi in un limbo temporale in cui isolarli dal resto della metropoli e dalla vita "vera", quella a cui, in fondo, non hanno mai cessato di aspirare: i bohémiens di Kaurismäki compongono un'umanità di spiantati clochard che ancora non hanno alzato bandiera bianca e che, seppur nutriti più dal cinismo e dal disincanto che dal cibo, riescono addirittura a sorridere delle miserie della propria esistenza. Il baratro della disperazione li sta risucchiando lentamente? Non importa: non si arrendono, perchè "sanno reagire agli insuccessi e non si abbandonano alla depressione" (ma si lasciano trascinare alla deriva). Incorniciata dal magico bianco e nero della fotografia di Timo Salminen, Vita da bohème si rivela opera di raffinata leggerezza, abilmente sospesa tra gli scarti surreali del racconto (l'incontro al ristorante tra Max e Rodolfo, alle prese con una trota "bicefala" e il Quadrato nero di Malevic) e gli irresistibili guizzi umoristici che ne squassano l'incedere glaciale e straniante, tra la rarefazione delle atmosfere e l'ironica delicatezza di sguardo sull'implosione romantica della love story tra Rodolfo e Mimi. E ancora: la trascinante Surfin' Bird dei Trashmen eseguita dall'invasata cover band The Fake Trashmen nel locale notturno, la gita in campagna (l'omaggio a Renoir), l'anteprima privata della nuova composizione di Schaunard per i suoi amici, il cameo di Samuel Fuller (è l'editore Gassot; e c'è anche Louis Malle), l'esibizione dell'ottimo cast d'interpreti, dal quartetto di protagonisti, capeggiato dallo strepitoso Matti Pellonpää nei panni di Rodolfo, fino a Jean-Pierre Léaud in quelli del cavalier Blancheron di Nantes, l'industriale dello zucchero venuto a commissionare a Rodolfo il proprio ritratto.

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