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I giorni del cielo

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su I giorni del cielo

di lamettrie
8 stelle

Un film non favoloso, ma pieno di spunti di riflessione, profondi. Il pessimismo sulla natura umana è qui pieno: è chiaro che tutto ciò che accade è verosimile, e che possa essere già accaduto; anche se non è certo l’unica dinamica che può accadere.

La colonna sonora, anche di Morricone, è splendida. Ma il protagonista è la fotografia, da urlo: sembra che Malick, qui a 35 anni e alla seconda opera (dopo il sopravvalutatissimo esordio de “La rabbia giovane”), abbia soprattutto voluto concentrarsi sul versante estetico. Senza però, affatto, sorvolare sulla dimensione filosofica, morale del tema, che alla fine è molto più complesso di ciò che appare: una coppia di cialtroni per opportunismo cerca, e trova, il matrimonio d’interesse; ma gli imprevisti tragici sono dietro l’angolo.

Il film non è lungo (un’ora e mezza), ma è lento, e neppure tanto significativo, almeno per la metà e un po’ oltre. L’ultimo terzo del film è densissimo, anche se il regista ci mette un po’ troppo a rendere molto interessante la vicenda.

Il pessimismo di fondo riluce da questo fatto: quasi tutti sono criticati. E i buoni sono vittime: il male fatto loro li devasta, anche se viene punito dalla giustizia umana e, forse, divina (o comunque dal caso). Anche se i loro carnefici vengono puniti, i buoni sono vittime del male altrui, in modo terrificante: come la sorellina, che ha ricevuto solo modelli educativi pessimi (l’opportunismo più che bieco del fratello …) da chi era ben più grande di lei; come il ricco, che è stato punito per la sua fiducia evidentemente un po’ troppo ottimistica. E qui, con grande maestria, si innesta l’enigma politico: i poveri sono sfruttati in modo vergognoso; Richard Gere e la sua fidanzata non possono che vivere male (come tutti quelli, la maggioranza, sottoposti al capitalismo, americano e non solo: siamo negli anni ’10 del ‘900). Ma costoro comunque non sono giustificati se, per uscire dalla miseria, cercano di sfruttare il ricco, che ormai non capisce più nulla dato che gli restano pochi mesi di vita. Eppure, come si diceva, anche in chiave politica la sfiducia pessimista emerge: il povero è quasi costretto a essere criminale, se vuole uscire dai crimini che subisce.

Si diceva che quasi tutti sono criticati: la natura, che distrugge tutto con le cavallette, e che pur appare splendida, e insieme così indifferente ai bisogni degli uomini (tema poi classico di Malick); gli uomini, che (aiutati dall’ingiustificabile maschilismo della tradizione), fanno sempre una pessima figura nell’ingannare le donne, nello sfruttarne  le pur legittime e commuoventi ricerche di autentici amore e felicità (e la ricerca della levità e allegria, così presente, è descritta soprattutto al femminile, appunto, un femminile che però è tradito costantemente). In tal senso, ciò che più è squallido è ciò che fanno gli ingannatori, lucidi e interessati solo ai soldi del matrimonio, unico mezzo per uscire dalla povertà, secondo loro: i primi a rimetterci sono proprio loro. E proprio in questo sta, forse, il messaggio positivo del film: chi vuole sfruttare i sentimenti per ingannare e averne un vantaggio individualistico ed economico, chi adopera questa falsità non può aspettarsi che la realtà lo premi come egli vuole. La donna si vede ammazzare due amori veri (lei teneva a loro sinceramente, loro tenevano a lei sinceramente), in un giorno. Per quanto la frode, fatta dei sentimenti altrui, possa essere costruita in modo intelligente, essa col tempo non può non emergere, agli occhi di tutti gli interessati, in modi sufficientemente chiari, e psicologicamente devastanti: il classico caso in cui il male fatto ad altri si ritorce su di sé; e a posteriori si può dire che non conveniva nemmeno farlo all’inizio.

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