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La tigre e la neve

Regia di Roberto Benigni vedi scheda film

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La recensione su La tigre e la neve

di FilmTv Rivista
6 stelle

Furioso come una tigre e candido come la neve. Che poi È il polline di primavera che cade su Roma e sull’amore che può tutto, come la poesia. Per Roberto Benigni la vita continua a essere bella, al punto che si ricorderà, da morto, di quand’ero vivo. Come sempre nel suo cinema, il poverismo e il vuoto delle immagini sono riempite dal Senso e da una verve attoriale che non ha connotazioni comiche uguali, forse, nel mondo intero. Basterebbero le esilaranti scene della lezione all’università, della sedia da barbiere, della maschera da sub o quella dell’appartamento, quando Attilio De Giovanni (un doppio omaggio poetico a nomi che recitano da soli) tenta di riconquistare la sua Vittoria, in un tripudio di candele, gag alla Billy Wilder e finale buono brutto e cattivo, o – ancora - del finto kamikaze al check point iracheno (le medicine al posto delle bombe), per giustificare un film che denuncia tutti i (suoi) limiti e deflagra tutta la carica surreale dell’artista toscano. Insomma Benigni è Benigni, nel bene e nel male. Un po’ grillo parlante e un po’ clown, un po’ Fellini (soprattutto nell’incipit/sogno, dove appaiono in una partecipazione davvero straordinaria Montale, Borges, Ungaretti e Yourcenar, che diviene tormentone, con Tom Waits che canta You Can Never Hold Back Spring) e un po’ Charlie Chaplin, schiavo d’amore (quel tram con la sua adorata che scappa dentro al cinema di Michalkov) e schiavo di se stesso, ma comunque vitale e sbrindellato, saltimbanco e giullare, professore che vorrebbe insegnare - prima di ogni cosa -la voglia di mettercela tutta per guarirsi e guardarsi dalle malattie dell’uomo. Certo, la figura di Fuad (un Jean Reno davvero sprecato) manca di spessore intellettuale e non ha forza romantica e Nicoletta Braschi non è Anna Magnani. Certo, i personaggi di contorno sono sfocati e sbiaditi, come già nella Vita è bella e nel Piccolo diavolo. Ma, appunto, Benigni è Benigni, riempie o crede di riempire ogni spazio del proprio immaginario. A volte riuscendoci genialmente, a volte uscendone con le ossa rotte. Come se fosse lui il primo a non credere di essere dentro ai suoi sogni, di essere lui il sogno di se stesso.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 42 del 2005

Autore: Aldo Fittante

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