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Fuori orario

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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Raffaele92

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fuori orario

di Raffaele92
9 stelle

Ecco come raccontare l’alienazione. Ma è il contesto stavolta a fare la differenza. La città di New York è stata vera e propria “protagonista di cinema”, amata e filtrata dalle tematiche di registi che l’hanno idolatrata e ne hanno fatto addirittura un proprio tema portante (non si può non menzionare Woody Allen).

Questa volta, però, suddetta città e la vicenda che la circonda assumono la dimensione distorta di un incubo metropolitano all’interno del quale personaggi deviati, impossibili e inafferrabili affiorano da una quotidianità che – sotto una parvenza di normalità – nasconde le inconfessabili paure e le nerissime pulsioni proprie appunto dell’emarginazione che il contesto urbano provoca sull’individuo.

Ed è proprio la riflessione sull’individuo a rendere il film così rappresentativo della sua epoca: l’individualismo degli anni ’80 ha trovato riscontro nel cinema tramite film quali “Flashdance” (1983), “Top Gun” (1986), “Saranno famosi” (1980), “Footloose” (1984), ecc., i cui protagonisti erano orientati a quell’idea di successo e realizzazione personale tutta americana e il peso delle scelte ricadeva sui singoli piuttosto che sulla collettività.

In questo senso “Fuori orario” è il lato oscuro di quel decennio: il personaggio è solo, intrappolato in quel labirinto assurdo che in fin dei conti altro non è se non l’ordinaria vita di tutti i giorni, impossibilitato a muoversi, ma soprattutto ad avere rapporti con chi lo circonda per cause di “forza maggiore”, o comunque a lui non imputabili.

Dietro la facciata tragicomica che pervade il film, si nasconde il grido angosciato e afflitto di un protagonista che cerca disperatamente di comunicare col mondo circostante. Ma questo mondo, questa (parvenza di) realtà lo schiaccia, lo perseguita, lo catapulta in situazioni sempre più improbabili. Ecco la differenza con le pellicole sopra citate: questa volta il protagonista non riesce ad uscire dalla spirale mostruosa che lo attanaglia, non riesce a raggiungere i(l) propri(o) obiettivi/o.

Ma forse stavolta non vi sono obiettivi concreti; forse ciò che conta è solo arrivare il prima possibile e indenni alla mattina dopo. Mancanza quindi di un centro, di un perno attorno quale “costruire” le proprie mete e i propri scopi sono ciò che contribuiscono a rende l’individuo un emarginato e la realtà una dimensione crudele dalla quale nascondersi o fuggire a gambe levate.

Nello sconcertante finale scopriamo che l’unica via d’uscita, l’unica ancora di salvezza, il deus ex machina che riporta il tutto alla (illusione di) normalità altro non è che l’eterno ripetersi del tran tran quotidiano, la perenne reiterazione che è specchio della monotonia della vita.

Nella società descritta da Scorsese in quest’opera non c’è redenzione semplicemente perché non ci sono colpe, solo un mero (non) intrecciarsi di vite, il caotico accavallarsi di eventi, il tutto magnificamente orchestrato dal caos.

Visionario, con un ritmo folgorante e irresistibile, tra i migliori film di Scorsese nonostante (o forse proprio per questo) assolutamente atipico nella sua filmografia.

Un capolavoro degli anni ’80, di lungimiranza sconcertante e inarrivabile.

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