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Una donna chiamata Apache

Regia di George McRoots (Giorgio Mariuzzo) vedi scheda film

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La recensione su Una donna chiamata Apache

di scapigliato
8 stelle

Al Cliver, al secolo Pier Luigi Conti da Roma, volto wasp per eccellenza del cinema B italiano, è qui un soldato nordista, quelli buoni per intenderci, che tanto dicono contro la schiavitù del Sud, ma così profondamente lincolniani da massacrare con piacere erotico i selvaggi indiani solo perchè “Noi siamo la civiltà! Dio è con noi”. Quanto male abbiano fatto le sovrastrutture politiche e religiose all’uomo, il film lo dichiara fin da subito. Anche perchè il bel protagonista dalla folta chioma bionda che più bionda non si può per uno di Porta Portese, non è un vero e proprio nordista “rivisitato”. Lui con la bella indiana ci mette un po’ di tempo prima di abbattere ogni pregiudizio, e anche quando l’ha fatto sta sempre sulle sue, tende sempre verso il militarismo e la patria, la pena di morte e la moralità, ovvero i valori fondanti l’America, e distruttori dell’uomo etico. Non vedo una gran differenza tra il Tommy di Al Cliver e i suoi compagni nordisti, i meno gettonati tra l’altro dallo Spaghetti-Western che vi preferisce di gran lunga i terrigni sudisti, senza però partecipazione politica. Sul finale il nostro biondo riprende le redini del proprio cuore, della propria anima, e della propria vita e ama l’indiana Apache senza veli e censure. Cade ogni impalcatura, ogni mascherata, e ciò che resta è la verità. Ma la verità non piace alla legge, non piace allo Stato, non piace alla patria, alla religione, alla morale. Così i due innamorati devono morire in nome di Dio, e ci chiediamo cosa c’entri Dio con tutto questo. Un viaggio nell’orrore povero di un piccolo film che però non lesina in crudeltà, in intenzioni erotiche, dove un imbolsito Rick Boyd è laido e in fondo in fondo con una sessualità irrisolta che da un lato non gli permette di “andare” con una donna e dall’altro lo porta a giocare e scherzare ambiguamente con il compagno Frank. Viscido e meschino è anche Corrado Olmi, accecato solo dal profitto e dal raggiro. Impazzito, forse dall’abbaglio dell’oro o dalla solitudine, anche l’eremita Maranzana. Anche la famigliola timorata di Dio è in realtà un covo di pervertiti, folli e allucinati degenerati che mascherano dietro la bella faccia del conformismo puritano tutto il marcio e l’ignoranza nati proprio da questo fanatismo religioso. Saranno loro, per mano del padre, ad uccidere il protagonista piangente sulla tomba della sua innamorata, ammazzata da Boyd e compari. Il film di Mariuzzo dipinge, col poco che ha a disposizione, una frontiera della terra e dell’uomo comandata dall’impeto distruttore delle sovrastrutture politiche e religiose. Regia giusta, con intuizioni visive interessanti, soprattutto verso il finale quando la storia si fa più disperata.

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