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La donna della mia vita

Regia di Régis Wargnier vedi scheda film

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La recensione su La donna della mia vita

di hupp2000
8 stelle

Film durissimo, a tratti disperato, con finale aperto, anche se ben lontano dl classico “lieto fine”. Un’operazione insolita per questo genere di opere francesi che, quando vogliono, sanno sferraare duri colpi allo stomaco.

In partenza, facciamo la conoscenza di Simon (Christophe Malavoy), violinista affermato ma ad uno stadio estremo di alcoolismo. Il suo decadimento e la sua crescente inaffidabilità mettono in crisi il lavoro dell’orchestra da camera creata sette anni prima da Laura (Jane Birkin), moglie di Simon. Testardamente innamorata del marito, Laura ne comprende le difficoltà, ma si rivela incapace di aiutarlo a cambiare vita. Simon sprofonda sempre più nell’alcool e nella disperazione, fino alla sera in cui, in un bistroto, si fa quasi letteralmente raccogliere con il cucchiaino da Pierre (Jean-Louis Trintignant), un ex-alcoolista al quale non mancano drammatiche ragioni personali per tentare di aiutare chi gli ricorda il suo passato.

Inizia così un lungo e tortuoso percorso cadenzato da piccole soddisfazioni che si alternano a grandi delusioni e sconfitte. Seguìto con grande umanità e non meno rigore da Pierre, Simon rimette in discussione la sua esistenza, dal suo rapporto con Laura al senso della sua carriera artistica. Finale aperto, come dicevo: non c’è lieto fine, ma neppure la tragica conclusione che era lecito aspettarsi di fronte all’estrema drammaticità delle vicende raccontate.

Il regista Régis Wargnier avrebbe dichiarato che il suo “(...) non è un film sull’alcoolismo, ma sull’amore per la musica e sulla musica dell’amore” (da “Guides des film”, a cura di Jean Tulard, ed. Robert Laffont, 1990). La musica classica svolge certamente un ruolo centrale nell’economia del film, ma a restare impressa è soprattutto l’analisi della relazione di Simon con la moglie Laura, con il quasi-terapeuta Pierre e con Sylvia (Dominique Blanc), una sfigatissima ragazza incontrata al suo primo incontro con gli Alcoolisti Anonimi. I dettagli della dipendenza dalla bottiglia sono trattati magistralmente e in maniera cruda.

Christophe Malavoy, che un anno dopo tornerà ad essere non meno inquietante nel bellissimo “Le cri du hibou” (“Il grido del gufo”) di Claude Chabrol, spiazza e disturba per la sua realistica e sgradevole incarnazione di un uomo alla deriva e al limite della psicosi. Altrettanto impegnativa e coraggiosa la prestazione di Jane Birkin, che sembra ripercorrere dolenti tappe della sua lunga relazione con il bevitore per eccellenza Serge Gainsbourg. Qui, è una moglie passionale ma debole, disposta ad accettare qualsiasi stravaganza di Simon, ma possessiva e ambiguamente in conflitto con Pierre. A quest’ultimo personaggio, Jean-Louis Trintignant conferisce l’autorevolezza di cui è capace solo un grande attore. Elegante e semplice nei modi agire e parlare, tiene con fermezza il timone dell’intero racconto. La vicenda che lo ha portato alla liberazione dall’alcool è a dir poco straziante, come lo sono le vicissitudini di Sylvia, il personaggio più indifeso e tragico del film.

Un film tutt’altro che divertente, ma ben diretto e ottimamente interpretato, un’opera che richiede non poca concentrazione da parte dello spettatore.

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