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The Bird People in China

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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La recensione su The Bird People in China

di AndreaVenuti
8 stelle

The Bird People in China è un film giapponese del 1998, diretto da Takashi Miike

 

Sinossi: Wada, agente di commercio affidabile e volenteroso, viene mandato dalla sua compagnia in un remoto villaggio della Cina Continentale con l’obiettivo di recuperare un’antiqua reliquia. Giunto sul luogo s’imbatte subito nel connazionale Ujiie, yakuza vecchio stile che ha il compito di seguire il giovane e sottrargli la pietra. Per entrambi inizia una vera e propria avventura ricca di imprevisti, in uno scenario totalmente diverso dalle megalopoli giapponesi, dove vivono i due protagonisti…

locandina

The Bird People in China (1998): locandina

Il nome di Takashi Miike verso la fine degli anni Novanta incomincia finalmente a circolare oltreoceano; il bad boy di Yao è ritenuto essere il nuovo maestro dello yakuza-eiga, un genere che a partire dagli Sessanta non ha mai smesso di innovarsi e rimodellarsi sotto la guida dei suoi autori (da Masahiro Makino passando a Kinji Fukasaku fino a Takeshi Kitano). 

Miike a proposito ha già realizzato una serie di film davvero notevoli, caratterizzati da una serie di elementi alquanto anomali ed innovati, il tutto confermato da opere folli quali Shinjuku Triad SocietyLey Lines o Fudoh The New Generation

Contemporaneamente però Miike non ama fossilizzarsi su una singola macro-area, bensì la sua indole sovversiva lo porta ad esplorare nuovi lidi, a volte totalmente diversi dai film precedentemente citati; pensiamo a Young Thungs Innocent Blood (1997) oppure al qui presente The Bird People in China, esperimento poetico e ammaliante di difficile catalogazione.

 

Il film si apre con una voice-over introspettiva altamente significativa: un giovane (Wada) afferma di aver sognato in vita sua oltre 10000 volte, tuttavia non è mai riuscito a sognare di volare come un uccello. 

A seguito di queste “strane” parole, l’autore rappresentata rapidamente la quotidianità del ragazzo; classico salaryman giapponese completamente assorbito dal lavoro e dalla megalopoli sempre più opprimente e la messa in scena esemplifica al meglio quanto detto. 

Il buon Miike ricorre nuovamente all’voice-over (descrittiva) ma la particolarità risiede nel montaggio serrato, avvicendato perfettamente ad un uso continuativo del fast-motion, il cui obiettivo è evidenziare senza mezzi termini quanto sia difficile vivere in una grande città giapponese, la cui vita scorre davvero troppo velocemente senza concederti neppure il tempo di riflettere sui tuoi reali bisogni, rendendoti inoltre prigioniero di una routine infernale [Miike riprenderà in mano l’argomento l’anno successivo nel simpatico  White Collar Worker Kintaro].

Incipit critico allettante che però viene presto accantonato a favore di una narrazione del tutto inusuale, almeno basandoci sull’allora nascente stile iconoclasta e provocatorio di Miike. 

 

Nel momento in cui Wada mette piede in Cina l’instancabile autore nipponico inaugura il suo personalissimo road movie rurale, ricco di immagini paesaggistiche mozzafiato riprese con la maestria del migliore documentarista della scuderia di National Geographic Channel omettendo l’appena citato approccio sovversivo dunque scordatevi la sessualità perversa, la violenza estrema o la macchina a mano spasmodica, elementi sostituiti da una regia estremamente elegante e poetica dove molte tende ad offuscare i protagonisti per focalizzarsi invece sulla bellezza della natura. 

L’ambientazione è dunque un fattore determinante e colpisce la scelta di mostrarci una Cina sconosciuta, tribale, arcaica ma accogliente; i vari luoghi in scena sono talmente isolati al punto che si dice che l’anziano di un villaggio non ha mai saputo dell’esistenza di Mao Zedong.

 

Continuando a concentrarci sul discorso tecnico/stilistico è doveroso evidenziare alcuni guizzi notevoli.

Impossibile non citare il frangente onirico con protagonista Ujiie. Il nostro yakuza sta camminando da solo in mezzo alla foresta (Cina) quando improvvisamente si ritrova proiettato a Tokyo, inseguito da alcuni “colleghi” armati fino ai denti e pronti ad ucciderlo. 

La scena si conclude con il brusco risveglio del soggetto; Ujiie stava ovviamente sognando alludendo alla sua situazione, ossia non potrà mai liberarsi dalla grinfie della yakuza ed è destinato ad una morte atroce, almeno così pensa.

Estremamente simpatica pure la scena in cui i nostri protagonisti, insieme alla loro guida, mangiano involontariamente dei funghi allucinogeni dando vita ad una situazione visionaria e surrealista con conseguenze pulp-grottesche. 

 

The Bird People in China è altresì interessante in riferimento alla presentazione ed evoluzione dei suoi due protagonisti

Wada come sottolineato in precedenza è lo specchio del lavoratore medio giapponese, schiacciato da tutto e tutti e a proposito emblematica la voice-over iniziale. 

Stupisce al contrario lo yakuza Ujiie, certo in un primo momento ripropone i soliti cliché del tipico criminale irascibile dal grilletto facile ma in realtà è un soggetto estremamente più complesso; lui soffre in silenzio, di notte ha continui incubi, ama giocare con i bambini e sogna di volare, lasciandosi così alle spalle una vita fatta di violenza e soprusi. 

Interessanti anche tutti gli altri personaggi che se pur privi di una caratterizzazione complessa presentano un background intrigante.

 

Film poetico di un grande autore che non rinuncia mai a progetti insoliti ed atipici, anzi è proprio quando esplora realtà molto diverse dal suo stile “abituale”, pur sempre incredibilmente eclettico ed originale, che ci regala perle rarissime da guadare e riguardare.

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