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The Clan

Regia di Christian De Sica vedi scheda film

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La recensione su The Clan

di scandoniano
2 stelle

Con “The clan” Christian De Sica, uscito dalla lunga militanza nell’entourage dei vari De Laurentis, Vanzina, Neri Parenti, mette in scena il suo sogno: fare il one-man show al cinema. Dunque cantante, ballerino e cabarettista in un’unica soluzione che metta finalmente a nudo quelle velleità artistiche che l’attore romano non ha mai cercato di celare. La predilezione per la danza, il canto e le performance da “Broadway”, unitamente al fatto di essersi svincolato dal costante, becero calderone natalizio, ha spinto De Sica a finanziare e dirigere il film che probabilmente ha sempre sognato di interpretare. “The clan” parla di due squattrinati meccanici romani (De Sica, appunto, e Paolo Conticini) che vanno a Las Vegas a far fortuna. Qui incontrano un barista (Sebastien Torkia) col quale mettono in scena alcuni numeri da avanspettacolo per sbarcare il lunario. Inutile dire che diventeranno più ricchi e famosi dei Beatles dei tempi d’oro. Il meccanico-cantante interpretato da De Sica è un artista dall’indole comica: una sorta di Gene Kelly col carattere di Gigi Proietti! Il problema è che entrambi i mostri sacri con cui viene qui messo a paragone altro non sono che la quintessenza dell’arte che vanno ad interpretare. Al contrario di De Sica che fa troppo (per le sue potenzialità) e male, tanto da esser riuscito a far peggio di quando si arrabattava nelle varie squallide commedie natalizie. Nessuno con un minimo di senno avrebbe permesso a Christian De Sica e compagnia di realizzare un film che è una rara mistura tra musical e commedia-trash alla Vanzina. Certo che ricoprendo contemporaneamente la figura produttore e regista, De Sica non ci ha pensato due volte a mettere su questa insolita quanto malriuscita commistione. Se è un film comico non fa ridere (anzi...), se è un musical non emoziona. Il problema è che, riguardo quest’ultimo punto, “The clan” ha la pretesa di farlo. Per fare un esempio palese, il film mostra le esibizioni di De Sica e soci in maniera integrale: non uno spezzone, ma tutta la canzone. Ciò sta ad indicare che l’intenzione degli autori del film è di mettere in scena delle sequenze piacevoli, da applausi: delle performance che suscitino emotività nell’animo dello spettatore; invece, per una serie di fattori svariati, le performance di canto e ballo dello brancaleonico trio ispirano soltanto sbadigli e pernacchie... Questo non è un film. Per dirla tutta sembra più il decalogo di come un film non deve essere. Basta analizzare alcune sequenze per capirlo. In molte di esse, lo spettatore viene letteralmente preso in giro dal film; quest’ultimo difatti, in numerosi frangenti, crede che basti il minimo indispensabile (dunque dialoghi e situazione curate, sul piano della sceneggiatura, in maniera approssimativa) per suscitare emozioni che in realtà necessitano di ben altra trattazione e di tutt’altro approfondimento. Los Angeles come Ostia: la città percorsa a piedi, persone (re)incontrate per coincidenza, strade deserte, luoghi fittizi e scenografie superficiali. Tutti parlano italiano e fare fortuna è più facile che incontrare un americano che non mangi hamburger, suoni la musica country o monti una Harley Davidson!!! In definitiva “The clan” è un’accozzaglia di banalità, una sagra del pressapochismo, il declino, se mai ci fosse stata un’ascesa, del più indegno dei figli d’arte.

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