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I bassifondi

Regia di Akira Kurosawa vedi scheda film

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La recensione su I bassifondi

di lorenzodg
10 stelle

"...cerchiamo una vita più dignitosa..." una parola di speranza (vuota), una delle poche,,,nel sogno infernale di vagabondi illuminati dal buio di una discarica (siamo agli inizi dell'800).
"Donzoko" (I bassifondi, 1957) è un film del maestro giapponese tratto dal dramma teatrale "Bassifondi" (detto anche 'L'albergo dei poveri') di MaKsim Gor'kij (pseudonimo del drammaturgo russo A.M. Peskov considerato il padre del 'realismo socialista' ) scritto nel 1902. (Si legge di una certa forte inimicizia tra Gor'kij e Solzenicyn che quest'ultimo scrive nel suo 'Arcipelago Gulag'...ma questa storia è altro).
Il film si apre con una voce che dice "...sono solo rifiuti..." mentre buttano sotto un dirupo immondizia che fa da contorno a un dormitoio 'infagato' da inodori del 'mondo sopra'. Qui vi sono vari uomini (e di quello che di dignità rimane) che senza nulla di nulla passano il tempo a parlare di quello che hanno dimenticano e ascoltano il vano inutile ("..zitto... non interrompere..voglio ascoltare..è l'unica cosa che mi rimane.."): un andirivieni di parole sporche e pulite senza disdire il bello che non c'è più, l'uomo idiota, l'arguzia vana e il moralismo ormai degli altri (quelli che non ci guardano mai..ma ci coprono di rifiuti..solo quelli). Gli ultimi degli ultimi: è la fine dell'uomo oltre la vita dimenticata e la storia mai letta; ciò che rappresenta Kurosawa è uno 'spirito' leggero e di consolazione, una solidarietà tra 'poveri' per tutto inutili. L'uomo sempre in primo piano secondo il regista; mai versare lacrime, riderci sopra tralasciando lo...sfoggio ad altri. Amare e tristi considerazioni che diventano motivo per scherzare delle disgrazie capitate: una prostituta, un attore alcolizzato, un ladro (Toshiro Mifune), disoccupati vari, un nobile (..."...sì una volta ero un principe...!"..) decaduto...acui si aggiunge un 'uomo-libero-pensatore'...che trova aria per i suoi polmoni oramai ricolmi di grette iniquità e portatore di 'aleatori' sogni.
Non preoccupiamoci più di tanto sembrano dire tutti.., viviamo per quello che (non) abbiamo..., e qualche buona parola aiuta tutti a tirarsi su di morale: "Un'antico....dice 'Se non c'è riso mangia orzo, se non c'è orzo mangia miglio'..". Ecco dalla bocca della moglie cosa viene fuori di saggio verso l'uomo che non trova mai risposta ai suoi perchè senza senso...
Kurosawa adotta uno stile di coralità nella recitazione, con modi leali e di 'allegria' interiore riesce a sollevare i personaggi (e il loro 'dimenticatoio') dalla pochezza vitale per una umanità 'sincera' e 'surreale'. Un approccio tetro-teatrale di drammaturgia-ariosa: dove ad ogni battuta non si piange per finta e realmente..si lascia tutto alle spalle con una bevuta che faccia dimenticare tutto (veramente tutto).
'Una risata ci seppellirà'..ridere e scherzare sul vero e per nulla gettarlo..."Se un giorno divento ricco...metto su una cantina...Venite. bevete e mangiate.." Così la goduria dell'alcol si tramuta in un sogno impossibile e di solidarietà di 'disgraziato' verso altri che non hanno avuto questa 'dolce possibilità' di ubriacarsi con una vita senza..davanti. Un'amarezza profonda, un'umanità geniale, un linguaggio disteso danno grande risalto ai personaggi che si misurano tra loro con argomentazioni 'disarmanti'. Kurosawa riesce stupendamente a armonizzare la storia con gli attori e testimonia un'acutezza visiva nella scarna e macchiata messainscena. Il bianco nero, rigato e corroso dal tempo, inglobano le facce dei diseredati in un comune e assorto silenzio di luce.
"Mi sono tagliato il braccio", "Le mani e i piedi sono il nostro capitale", "Su bevi..!", "Bevi"...: nell'ultima parte del film si accentua la comunicazione dell'alcol..tanto è vero che "diventi normale quando sei ubriaco"..come a dire reciti anche meglio e dimostri sincerità a te stesso e verso chi ti guarda.
Mentre la festa e l'allegria prende il sopravvento a tutto e a tutti i problemi, e il ballo diventa una cadenza (dis)armonica di leggerezza inaspettata (un finale bellissimo e struggente con i corpi che si dimenano come spiriti annoiati)..eco che una tragedia s'avvera (per il vero che è tutto dentro) "l'attore si è impiccato dietro la rupe"...l'alcol lo ha distrutto e il suo cinema ne ha chiuso per sempre la grazia dell'animo: ecco arriva la fine..il cinema è morto per chi è stato dimenticato (non si vede il corpo, non ha la forza di farsi vedere, la dignità 'intima' rimane, l'applauso è per altri...). "Peccato ha interrotto un bel ballo!..Peccato"..solo quello hanno interrotto la recitazione finale in un circo impossibile e in una chiamata ultima sul palco (il teatro della vita). (....Ed ecco che la discarica richiude tutto...anche il corpo inerme di un attore senza più voce....è quello che penso alla fine del ballo ma Kurosawa non fa certo vedere quello che 'credo di sognare' nella triste fine di un personaggio errante' tra i tanti rappresentati.)
La regia del cineasta giapponese è diretta, scarna e rivolta alle movenze facciali e degli occhi (la poca luce dei vari personagi): non c'è gusto per il macabro, si toglie l'aspetto sociale e viene 'materializzato' la dimensione umana (e uminataria).
Le prove degli attori sono da ricordare (certo il doppiaggio avrà meriti ma anche..colpe su certe libere traduzioni) e Toshiro Mifune ha una 'postura' recitativa da par suo (chi sa in quale film del nipponico è meno bravo? Chi sa??).
Si ricorda che la sceneggiatura è dello stesso Kurosawa (insieme a H, Oguni) come il montaggio.
Voto 9. (un film diverso dal Kurosawa classico che conosciamo ma grande nei modi e nello stile teatrale personale).

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