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36, Quai des Orfèvres

Regia di Olivier Marchal vedi scheda film

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La recensione su 36, Quai des Orfèvres

di FilmTv Rivista
8 stelle

il 14 gennaio 1985 il capitano dominique loiseau della “bri” (Brigata d’intervento rapido) morì in un conflitto a fuoco con una banda di rapinatori. L’improvvido intervento degli uomini del BRB (Brigata di repressione del banditismo) fece scoprire il poliziotto in appostamento. Nella squadra di Loiseau, alla memoria del quale 36-Quai des Orfèvres è dedicato, anche un giovane ufficiale, Olivier Marchal, che adesso, da regista, racconta questa storia. Daniel Auteuil è il capo del BRI, Gérard Depardieu del BRB. Il primo tra loro che riuscirà ad acciuffare una gang di spietati banditi avrà il posto di direttore generale della Police Judiciaire, sostituendo André Dussollier. E Depardieu è pronto a tutto, letteralmente, per avere quella dannata scrivania. Qual è il confine tra lecito e illecito, per uno sbirro? In fondo se lo chiede anche Auteuil, che per la dritta risolutiva vende l’anima al diavolo. Ma in un poliziesco così domandarsi dove stiano i buoni è un esercizio sterile. Contano, prima di tutto, le facce. Quelle giuste dei due protagonisti, con un Depardieu immenso, ricurvo sulle spalle, le mani sempre in tasca, lo sguardo che tradisce una frustrazione recondita, inutilmente seppellita sotto una fitta coltre di bastardaggini. E il “contorno”: da Dussollier, che concentra in due sguardi e tre battute il letamaio della politica, a Mylène Demongeot, l’anziana Manou, immagine di tutte le Manouche di melvilliana memoria. Ogni personaggio un universo-mondo, ogni poliziotto solitudine e rabbia. Certo, Marchal è un eccellente regista “d’azione”, e qui c’è di che divertirsi, ma sono i percorsi umani e disumani a scartavetrare l’anima. Sono le lacrime di uno dei funerali più belli mai visti al cinema o l’intensità sorda di certi passaggi, certe occhiate, certe frasi bisbigliate all’orecchio, cariche di allusioni. Nella seconda parte, quando Auteuil sembra finire per sempre a Monte Cristo e il tradimento di Depardieu grida vendetta al cielo, qualche risvolto narrativo si fa macchinoso. Ma è un niente, un eccesso d’amore nei confronti di una storia che è la propria, e per questo non si vorrebbe mollare mai. Fino alla frase sussurrata da Auteuil nel cesso («Se non riesci con la prima pallottola, ce ne sono altre tredici»), comunque, un bellissimo polar.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 4 del 2005

Autore: Mauro Gervasini

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