Regia di Enki Bilal vedi scheda film
Il francese Bilal è un totem del fumetto. Ma Immortal, il suo terzo film per il cinema, nonostante una campagna promozionale che in patria ha raggiunto vette pazzesche, è un pachiderma che sa di aria fritta. C’è poco da fare: l’universo cinematografico cyberpunk ormai gioca in svantaggio, perché la contaminazione tra linguaggi non è più una novità, è già (stata) contaminata (altrove), e lo spettatore sbuffa. Qui ci sono le solite macchine e i soliti umani che ci devono fare i conti, i soliti panorami di plastica mozzafiato e i soliti dubbi amletici. Certo, Immortal è visivamente gigantesco, ma è pure noioso, convenzionale e di riporto; e rintracciare citazioni o derivazioni è passatempo inutile, tanto un solo fotogramma di Akira, per esempio, basta e avanza per scavalcarlo. E poi rimane un retrogusto inquietante sulla morale. Il dio egizio a testa d’uccello Horus deve accoppiarsi per continuare la specie, e utilizza lo stupro; infine, lo si vede come salvatore: la violenza a fin di bene, dunque? L’imperialismo come strumento necessario a preservare la razza? L’inseguimento via aerea è un bel pezzo di cinema, ma si perde in uno spettacolo tronfio in CG che boccheggia quando vorrebbe incantare, e spara nel vuoto quando vorrebbe colpire nel segno.
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