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Nemmeno il destino

Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film

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La recensione su Nemmeno il destino

di Aquilant
8 stelle

A quale fonte si abbeverano e traggono sostentamento i moventi di un diffuso malessere sociale che conduce alla disgregazione familiare e all’autodissoluzione individuale, palesandosi per vie traverse ad un nemico perennemente in agguato in una progressiva resa della mente, dell’animo e del cuore?
Quali sono i mezzi a disposizione della società per far fronte alle catene di disagi esistenziali connaturati alle sue stesse radici corrosive?
L’autore non si preoccupa di fornire rispose adeguate né cerca tantomeno di additarci la panacea di tutti i mali.
Pur tendendo a bypassare l’evidenza del momento nell’ottica di un'indagine allargata a moventi intergenerazionali, il suo sguardo non pretende di essere assimilato a quello dello psicologo ed in ogni caso le immagini restituite all’occhio spettatoriale, pur ben delineate nell’ambito di una concatenazione di cause ed effetti, non sono assolutamente in grado di condurci al cuore di un problema vecchio quando il mondo.
Gaglianone è un puro e semplice narratore per immagini, di eccelso livello ovviamente (e lo si evince dalla visione di questa sua seconda fatica), deciso a registrare l’assoluta realtà delle cose anche a costo di effettuare delle vere e proprie vivisezioni sui dettagli dei volti sconvolti dal disadattamento ancor più che dall’acne giovanile.
Ed è anche un osservatore attento, dall’occhio sempre pronto ad individuare il giusto asse prospettico su cui impostare le coordinate visuali ed emozionali della sua personale realtà, dotato di un’irrefrenabile impulsività che lo porta a sparare i suoi personali quattrocento colpi in modo provocatorio e dirompente, dritto nel cuore di un sistema che si dissolve nelle immagini delle proprie infrastrutture cancerogene in perenne stato di abbandono.
Nient'altro che pure e semplici annotazioni d’ambiente possono apparire a prima vista queste s(coordinate) successioni di sequenze nell’ambito di una sorta di iperrealismo onirico, caratterizzate da un ballonzolare pressoché insostenibile della macchina da presa, con una fotografia rosa da un eccessivo livello di contrasto e bruciata da un abbacinante biancore, conseguentemente ad una generosissima sovraesposizione dei diaframmi.
Da notare l’uso metodico di rapidissimi flashforward che spingono in avanti di qualche minuto la dinamica delle azioni a guisa di piccole perturbazioni subliminali, quasi creando un moto oscillante e fornendo alla ripetitività dei gesti un’impronta di elasticità e dinamismo che bene si conciliano con l’assunto della narrazione. E prende sempre più corpo e sostanza la descrizione della deriva intergenerazionale presentata in un contesto di immagini dalla sconvolgente tensione drammatica, che mettono a nudo una serie di retroscena di insostenibile crudezza.
Nella seconda parte dell’opera si rende evidente il ritorno ad un uso tradizionale della luce e del colore. I toni si fanno più distesi ed il ritmo, in precedenza incalzante, si adegua al nuovo “status” narrativo. Il gusto del racconto tende a prevalere sull’impulsività di una macchina da presa piuttosto nervosa ed i residui fenomeni di ipercinesi filmica finiscono per svanire in sintonia con l’incalzare delle fiamme che già preludono all’atto conclusivo. Un’apparente quiete dopo la tempesta resa con evidenza in un epilogo di elegante fattura monocromatica. Ma se la forma nel film di Gaglianone si adegua di continuo all’incalzare ed all’evolversi degli eventi, il contenuto rimane pur sempre immutato così come il muto grido d’aiuto di una gioventù allo sbando decisa a cercare in alto il suo spiraglio di futuro.

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