Regia di Jafar Panahi vedi scheda film
Ci viene subito mostrato (tramite una significativa inquadratura fissa di alcuni minuti che termina con un leggero zoom in avanti) un congedo violento dalla vita, e non poteva essere altrimenti verrebbe da dire, dato che la vita respira ovunque violenza in questo film. O meglio, nella realtà in cui il protagonista è immerso, fino al punto in cui l'evasione da essa sarà inevitabile e ancora una volta tragica. Hussein è devastato nel corpo e nell'interiorità dal dolore prodotto puntualmente e inesorabilmente dalla guerra, dal regime totalitario, dalla profonda ingiustizia sociale che nota (e subisce) ovunque, dalla repressione cieca e violenta, dalla morte dell'anima delle persone, quelle che non hanno pressochè possibilità alcuna di salvarsi, condotte nel profondo della loro coscienza a pensare ed essere in un modo ben preciso (funzionale e gradito al potere dispotico). Fino, appunto, alla resa dei conti, all'interno di un contesto in cui non si può rintracciare la considerazione e la tutela del valore della vita e della libertà, di ogni singola dignitosa esitenza umana. E c'è, sì, chi si sforza di essere solidale e amico ma, la miseria e la morte si mettono sempre di traverso. Un film molto prezioso.
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