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Estate violenta

Regia di Valerio Zurlini vedi scheda film

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La recensione su Estate violenta

di LorCio
10 stelle

Se non fosse ancora chiaro, ribadiamolo: Valerio Zurlini era un dio di regista. Se non bastano il crepuscolare e disperato La prima notte di quiete e l’austero e commovente Cronaca familiare, è il caso di farsi travolgere dall’Estate violenta che portò sullo schermo nel 1959 sullo sfondo di una Romagna ancora disimpegnata ma già angosciata dalla guerra. Proprio la sua collocazione geografica lascia intuire quel che sarà La prima notte di quiete, con la decadenza balneare (stavolta estiva) che solo l’Adriatico sa sprigionare – e se ci si mette anche Mario Nascimbene, con le sue trombe squillanti e meste, il concentrato è irresistibile. La storia, per quanto semplice, è paradossalmente una delle poche storie d’amore nude e crude del cinema italiano (come fa opportunamente notare il divino Morandini), nella fattispecie l’amore malato e al contempo sano tra il giovane annoiato rampollo di una famiglia borghese (leggi: fascista) di Ferrara e una non troppo matura vedova di guerra con figlia, madre e cognata a carico.

 

Il film è soprattutto il ritratto di una donna che ha vissuto l’intera esistenza nel ruolo (ipocrita, ma non erano ancora i tempi per ammetterlo del tutto) di perfetta signor(in)a (“Devi ricordare che sei una signorina”) che decide di cogliere la palla al balzo (rappresentata dal ragazzo gentile e disponibile) e provare ad essere un’altra cosa. È un ruolo con cui la splendida Eleonora Rossi Drago offre l’interpretazione della vita (Nastro d’Argento): la sua Roberta, trentenne in lenta evoluzione critica, protagonista di una parabola di una passione sentimentale nata essenzialmente dalla repressione borghese, è forse uno dei personaggi femminili più completi e belli del cinema italiano. Eleonora, da par suo, porta con sé il segreto dei suoi occhi, la sofferenza delle costrizioni (ben evidenti nel rapporto con Lilla Brignone, che non fallisce come madre altera e severa), il bisogno di riuscire a poter ancor amare.

 

Esattamente l’amore, tema capitale del film, si riflette attraverso le tipiche frasi degli innamorati (“Dimmi che domani sarà diverso”, “Tu sarai diverso”; “Ho paura che finisca”; “Non so dirtelo, ma ti amo”): eppure nulla è concesso allo stucchevole, tutto si presente rigoroso, straziante, vero. Un’avventura d’amore lancinante, alla ricerca di una felicità impossibile (la guerra non è finita per niente, come si cerca di far intendere all’inizio – “La guerra è finita e noi l’abbiamo perduta: quel che conta è uscirne vivi”), è un film memorabile con almeno due sequenze da stampare a memoria: i giochi di sguardi da brividi, col sottofondo di Temptations e il meraviglioso alternarsi di luce e buio (la fotografia di Tino Santoni è da applausi) e il bombardamento. È il raro caso di un (sotto)finale in cui l’abbraccio tra i due amanti non lascia presagire una lieta fine. In questo film ribelle (ribelle, tanto per dire, è Roberta che si oppone al suo ruolo e alla sua storia) il finale è quanto di più struggente ci possa fare. Che fine farà Jean-Louis Trintignant?

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